Giu E' possibile applicare ai contratti attivi la disciplina del codice dei contratti pubblici in materia di suddivisione in lotti e di cause di esclusione?
Consiglio di Stato, sez. VII - SENTENZA 20 febbraio 2023 N. 579
Massima
Benché il rito speciale di cui agli artt. 120 e ss. c.p.a. si applichi solo alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture e non anche di beni, la disposizione di cui all’art. 120, comma 11-bis c.p.a., deve ritenersi applicabile anche alle procedure di affidamento di beni pubblici, atteso che l’applicazione della norma in questione non dipende dalla qualificazione giuridica “attiva” o “passiva” del contratto da affidare, ma dalla predisposizione a monte di un procedimento amministrativo di tipo concorsuale ad oggetto plurimo, in quanto tendente ad affidare molteplici e distinti vantaggi economici suddivisi in autonomi e separati lotti.

Testo della sentenza
Consiglio di Stato, sez. VII - SENTENZA 20 febbraio 2023 N. 579

Pubblicato il 17/01/2023

N. 00579/2023REG.PROV.COLL.

N. 03677/2022 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3677 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Domenico Iaria, Ivan Marrone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ivan Marrone in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 18;

contro

-OMISSIS- , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaele Izzo, Renato Speciale, Aldo Fera, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Raffaele Izzo in Roma, via Boezio, 2;

nei confronti

Comune di Genova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca De Paoli, Maria Paola Pessagno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
-OMISSIS- S.R.L, -OMISSIS- S.r.l., Società Immobiliare Pegli S.n.c., -OMISSIS- S.p.A., non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), n. 284/2022

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. e del Comune di Genova;

Visto l’appello incidentale proposto dal Comune di Genova;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2022 il Cons. Maurizio Antonio Pasquale Francola e uditi per le parti gli avvocati Marrone Ivan, Izzo Raffaele, Speciale Renato, De Paoli Luca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con determinazione dirigenziale del 17 novembre 2020, il Comune di Genova avviava una procedura negoziata telematica, ai sensi degli artt. 58, 63, 95 e 164 D.Lgs. n. 50/2016, per l’affidamento triennale in concessione, prorogabile una sola volta per ulteriori 3 anni, di n. 277 impianti pubblicitari di proprietà comunale e della relativa area di installazione, da assegnarsi singolarmente, per l’effettuazione di affissione dirette.

Nel disciplinare di gara si precisava all’art.3 che l’affidamento della concessione veniva suddiviso in 277 lotti, quanti erano gli impianti da affidare, e che il canone a base di gara, soggetto a rialzo, era pari ad € 353.574,00 al netto di I.V.A., imposte e contributi di legge, nonché oneri per la sicurezza dovuti a rischi da interferenze, precisandosi, inoltre, che “Nel caso in cui un concorrente risulti primo in graduatoria per più impianti, al medesimo potranno essere assegnati fino ad un massimo del 33% degli impianti per cui sia stata presentata più di una offerta, che saranno individuati sulla base del criterio della miglior offerta al rialzo espressa in valore assoluto rispetto al canone annuo posto a base di gara, fatte salve le offerte presentate per gli altri impianti” (art. 3.2).

Con successiva determinazione dirigenziale del 7 gennaio 2021, il Comune di Genova rettificava il disciplinare di gara, integrando l’art.3.2 con l’indicazione dei criteri di selezione degli impianti da assegnare nel caso in cui un concorrente avesse proposto la migliore offerta per un numero di impianti superiore al 33% di quelli per i quali avesse manifestato il proprio interesse, dovendosi procedere, in primo luogo, all’assegnazione di quelli implicanti una maggiore entrata per la Civica Amministrazione, rimettendosi, per gli eventuali rimanenti, alla scelta, invece, del maggior offerente.

A seguito della pubblicazione del relativo avviso, pervenivano al Comune sette manifestazioni di interesse (all. 18 fasc. di primo grado dell’Amministrazione resistente), tre delle quali, rispettivamente, da parte della -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A., della -OMISSIS- s.r.l. e della -OMISSIS- S.r.l.

Le predette società dichiaravano, in sede di manifestazione di interesse, di essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 80 co. 1, 2, 4 e (soprattutto, per quanto di rilievo in questa sede) 5 D.Lgs. n. 50/201, escludendo, quindi, tra le stesse e le altre società interessate situazioni di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. o una qualsiasi relazione, anche di fatto, di controllo o relazione implicante l’imputabilità delle offerte ad un unico centro decisionale.

Con nota del 10 dicembre 2020, il Comune di Genova chiedeva alle tre società chiarimenti in ordine ai loro rapporti, avendo rilevato, dall’esame delle manifestazioni di interesse, una possibile causa di esclusione ai sensi dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016.

Le società rispondevano all’invito, affermando di costituire centri decisionali totalmente autonomi e separati, manifestando, comunque, la disponibilità all’eventuale ritiro, in caso di persistenti dubbi da parte del Comune di Genova, alla manifestazione di interesse per una parte dei lotti, onde evitare qualsivoglia problematica o dubbio di sovrapposizione di offerte.

Con nota del 7 gennaio 2021, il Comune di Genova riteneva i chiarimenti resi sufficienti a consentire la presentazione dell’offerta economica, stante lo stato iniziale della gara e salva, comunque, la facoltà per l’Amministrazione di verificare in concreto se le offerte presentate fossero imputabili ad un unico centro decisionale.

Entro il 19 gennaio 2021 pervenivano le offerte da parte di 6 delle 7 società che avevano manifestato interesse ed il 21 gennaio 2021 si procedeva all’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa. Dopo di che, in data 11 giugno 2021 e 14 giugno 2021 si tenevano le sedute dedicate all’apertura delle offerte economiche.

Con nota del 7 ottobre 2021, il Comune di Genova comunicava alla -OMISSIS- s.r.l., alla -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. ed alla -OMISSIS- s.r.l. l’avvio del procedimento di esclusione dalla procedura, avendo riscontrato tra le predette società collegamenti e rapporti tali da indurre a ritenere la possibile sussistenza di una causa di estromissione ai sensi dell’art. 80 co.5 lett. m) e dell’art. 2359 c.c.

Nonostante i chiarimenti resi, le predette società venivano escluse con provvedimento del 4 novembre 2021, ritenendosi sussistenti elementi sufficienti per ritenere che le medesime abbiano agito in modo coordinato, al punto da ottenere complessivamente l’assegnazione della quasi totalità degli impianti equamente ripartiti.

Con successivo provvedimento del 23 novembre 2021, il Comune di Genova concludeva la procedura, aggiudicando i lotti in affidamento alla -OMISSIS- s.r.l., alla -OMISSIS- S.n.c. di -OMISSIS- ed a -OMISSIS- S.p.A.

Dopo di che, con ricorso notificato il 2 dicembre 2021 e depositato il 7 dicembre 2021, la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. domandava al T.A.R. per la Liguria l’annullamento, previa concessione delle opportune misure cautelari, del provvedimento di esclusione e dell’aggiudicazione per i seguenti motivi:

con riguardo al provvedimento di esclusione dalla procedura:

1. – violazione e o falsa applicazione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 in relazione agli atti di disciplina della gara, violazione degli artt. 8 e ss. L. n.241/1990 – poiché l’Amministrazione comunale non avrebbe puntualmente confutato le argomentazioni difensive formulate con la memoria presentata dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento di esclusione dalla procedura;

2. – violazione e o falsa applicazione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 in relazione alla specifica disciplina di gara – poiché la norma giustificante l’adozione del provvedimento di esclusione impugnato non sarebbe applicabile alle procedure di affidamento, come quella in questione, contraddistinta da 277 lotti tra loro autonomi, in quanto da aggiudicarsi singolarmente e sulla base di offerte distinte e separate, tanto più considerato che per taluni lotti non erano state presentate offerte simultanee da parte delle tre società sospettate di costituire un centro unico decisionale. Donde, l’illegittimità della decisione assunta dall’Amministrazione comunale sia in via principale, sia, in subordine, quanto meno in relazione ai lotti per i quali la ricorrente non aveva presentato la propria offerta, in assenza di offerte concorrenti provenienti dalle altre due società collegate;

3. – violazione e o falsa applicazione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 in relazione alle premesse degli atti preliminari alla gara, eccesso di potere per falsità dei presupposti e o travisamento, difetto di proporzionalità, sviamento di potere – poiché, qualora si ritenesse sussistente il centro unico decisionale rilevato dall’Amministrazione comunale, sarebbe, comunque, illegittima, in quanto sproporzionata, l’esclusione dalla gara per tutte le offerte, potendo le tre società unitariamente concorrere ed ottenere l’aggiudicazione dei lotti almeno nella prevista misura del 33%;

4. – violazione e o falsa applicazione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, falsità del presupposto, manifesta illogicità e perplessità, sviamento di potere – poiché non sussisterebbe l’asserito centro decisionale unico in virtù dei rapporti intercorrenti con le altre società, tanto più che, nella sua relazione, il R.U.P. ne ha ipotizzato la sussistenza in termini probabilistici;

con riguardo agli atti di gara:

5. – violazione delle disposizioni del disciplinare di gara, violazione dei principi generali in tema di procedure di gara con specifico riguardo al principio di continuità delle sedute pubbliche – poiché, anzitutto, le sedute si sarebbero tenute a distanza di molto tempo (soprattutto quelle di giugno 2021 rispetto alla prima tenutasi il 28 gennaio 2021) ed inoltre non sarebbe stata redatta una graduatoria provvisoria, con conseguente proposta di aggiudicazione, e la procedura sarebbe, comunque, rimasta sospesa sine die fino all’apertura del subprocedimento conclusosi con il provvedimento di espulsione;

con riguardo al provvedimento di aggiudicazione:

6. – illegittimità derivata, violazione dell’art. 97 Cost., eccesso di potere, sviamento – poiché l’aggiudicazione, oltre ad essere inficiata da invalidità derivata per i motivi precedentemente dedotti, sarebbe anche illegittima per vizi propri, non contemplando alcun riferimento tanto al precedente provvedimento di esclusione adottato nei confronti della ricorrente e delle altre due società interessate, quanto all’eccessiva tempistica procedimentale seguita, essendo stato elaborato l’elenco delle offerte cinque mesi dopo l’apertura delle offerte economiche. Inoltre, l’aggiudicazione darebbe atto della congruità delle offerte delle aggiudicatarie per un importo su base triennale complessivo di soli € 236.000,00 nonostante l’assegnazione di 209 lotti su 277 ad una sola impresa in violazione del limite del 33%, mentre l’introito originariamente stimato era di circa € 1.910.530,00 in spregio all’art. 17 del disciplinare di gara che riconosceva al Comune la facoltà di non aggiudicare le offerte risultate non convenienti, come nell’occasione.

Il Comune di Genova e la -OMISSIS- -OMISSIS- s.r.l. si opponevano all’accoglimento del ricorso.

Con sentenza n.284/2022 pubblicata il 14 aprile 2022 e da nessuna delle parti in causa notificata, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sezione Prima, dopo avere qualificato il contratto in affidamento come concessione di beni pubblici ed avere di conseguenza escluso l’applicazione delle regole processuali contemplate dall’art.119 co.1 lett. a) e dall’art. 120 c.p.a. e la diretta applicazione della disciplina sostanziale prevista dall’art. 164 e dalle altre disposizioni contemplate dal D.Lgs. n. 50/2016, accoglieva il ricorso, escludendo l’applicabilità dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 ed annullando il provvedimento di esclusione impugnato, con condanna sia del Comune di Genova che della società controinteressata costituitasi in giudizio alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla ricorrente e liquidate in € 4.000,00 oltre oneri accessori.

Secondo il giudice di primo grado, infatti: le disposizioni del codice dei contratti pubblici non si applicherebbero alle procedure di affidamento dei contratti attivi; il centro unico decisionale di cui all’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 rileverebbe soltanto nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti passivi; quand’anche la predetta disposizione si ritenesse, in astratto, applicabile alla fattispecie in esame, non potrebbe, comunque, operare nell’ambito di procedure ad oggetto plurimo, come quella in questione, contraddistinte dalla suddivisione in lotti tra loro diversi ed autonomi; peraltro, l’applicabilità della causa escludente in questione avrebbe legittimato l’esclusione della ricorrente soltanto dai lotti per i quali fossero state presentate più offerte riconducibili al medesimo centro decisionale; neanche le plurime offerte “a scacchiera” potrebbero, comunque, giustificare il provvedimento espulsivo adottato, poiché la portata escludente dell’art. 80 co.5 lett. m) e quella della clausola di aggiudicazione del bando statuente il limite del 33% avrebbero finalità e tempi di applicazione diversi, operando la seconda soltanto in relazione ad offerte validamente presentate; inoltre, la clausola limitativa dell’assegnazione dei lotti soltanto per quelli per i quali fosse stata presentata più di un’offerta, precluderebbe, ab origine, qualsivoglia interesse ed utilità per il centro unico decisionale di presentare più di un’offerta per ogni singolo lotto, onde limitare il computo dei lotti aggiudicabili nel limite del 33% soltanto a quelli per i quali fosse stata presentata un’unica offerta e non anche più offerte da parte delle società tra loro collegate; l’applicazione della disciplina in esame, infine, avrebbe decretato l’effetto di aggiudicare ben 209 impianti su 277 ad un’unica impresa, oltretutto a prezzi più bassi di quelli (validamente) offerti in gara per ciascun impianto, con la simultanea frustrazione sia della normativa sulla contabilità pubblica e del principio di economicità (art. 4 D.Lgs. n. 50/2016), sia dell’interesse pro-concorrenziale alla distribuzione degli affidamenti tra un maggior numero di imprese.

Con appello notificato e depositato il 3 maggio 2022, la -OMISSIS- -OMISSIS- s.r.l. impugnava la predetta sentenza, domandandone la riforma, previa sospensione cautelare degli effetti, per i seguenti motivi:

I. – omessa dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado per violazione dei limiti che consentono il ricorso cumulativo – perché l’adito T.a.r., dopo avere affermato che la procedura in questione sarebbe contraddistinta da un oggetto plurimo costituito da 277 lotti autonomi da assegnarsi singolarmente, avrebbe dovuto rilevare il contrasto del ricorso di primo grado con l’art. 120 co. 11 bis c.p.a. o, in subordine, con il principio generale processuale di cui la predetta disposizione costituirebbe declinazione, a fronte delle tre diverse situazioni fattuali rispetto alle quali i motivi di impugnazione si prospetterebbero in modo differente, ed ossia: a) quella dei 93 lotti per i quali sono state presentate offerte da due delle tre società collegate, vale a dire dalla -OMISSIS- S.p.A. e dalla -OMISSIS- s.r.l.; b) quella dei lotti per i quali sarebbe stata presentata offerta da parte di una sola delle tre società collegate, ed ossia 91 lotti per la -OMISSIS- S.p.A. e 93 lotti per la -OMISSIS- s.r.l.; c) quella dei lotti per i quali è stata presentata un’offerta da parte di una delle tre società collegate, superando il limite del 33% dei lotti con offerte concorrenti, categoria quest’ultima, a sua volta, da distinguersi a seconda che l’unicità dell’offerta sia valutata secondo che si considerino o meno le tre società delle quali si discute come unico centro decisionale.

Peraltro, anche i motivi di impugnazione distinguerebbero le differenti posizioni delle società interessate rispetto ai lotti, considerato che: la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. avrebbe proposto il secondo motivo di ricorso, censurante l’applicabilità dell’art. 80 co.5 lett. m) c.p.a., in via principale contro l’esclusione da tutti i lotti ed, in subordine, contro l’esclusione dai soli lotti (per l’esattezza 91) per i quali la medesima aveva presentato offerta in assenza di offerte concorrenti della -OMISSIS- s.r.l. o della -OMISSIS- s.r.l., in ragione della chiara consapevolezza che i motivi di impugnazione avverso i predetti lotti non potevano che essere diversi da quelli contro l’esclusione dai 93 lotti per i quali la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. aveva presentato l’offerta insieme alla -OMISSIS- s.r.l.; il terzo motivo di ricorso della -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. ha per oggetto soltanto i lotti inclusi nel limite del 33% di quelli con offerte concorrenti; la -OMISSIS- s.r.l., con motivi aggiunti, ha ritenuto che l’eventuale riconoscimento dell’unicità del centro decisionale avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione ad escludere i concorrenti soltanto per i lotti eccedenti il 33%; la -OMISSIS- s.r.l. non ha distinto tra lotti da aggiudicarsi a fronte dell’insussistenza del centro unico decisionale e lotti che avrebbe potuto aggiudicarsi in caso contrario, cioè rientranti nel vincolo di aggiudicazione del 33% (per un ammontare di 88 lotti).

II. – violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, inammissibile disapplicazione o annullamento parziale del disciplinare di gara – poiché: II.1) l’adito T.a.r., ritenendo non applicabile l’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, avrebbe disapplicato l’art. 6 del disciplinare di gara, peraltro, in assenza di un’apposita domanda in tal senso, neanche sub specie di annullamento per illegittimità, non essendo stata richiesta nel ricorso di prime cure dalla -OMISSIS-s.r.l. e dalla -OMISSIS- s.r.l. e, non potendosi all’uopo ritenere sufficiente, la mera menzione del predetto art. 6 nella parte in fatto del ricorso di primo grado della -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A.; II.2) il ricorso sarebbe, in parte qua, irricevibile, non essendo stata tempestivamente impugnata la predetta clausola escludente a fronte della sua immediata lesività per le predette società.

III. – violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sotto ulteriore profilo – perché in nessuno dei motivi di impugnazione proposti in primo grado è stata censurata l’applicazione dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 ai contratti attivi, essendone stata soltanto prospettata l’inapplicabilità per altre ragioni non connesse alla natura attiva o passiva del contratto in affidamento.

IV. – inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione di una motivazione del provvedimento impugnato – poiché l’adito T.a.r. avrebbe erroneamente omesso di rilevare l’inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa contestazione di una delle due motivazioni del provvedimento escludente impugnato, concernente, per l’esattezza, l’elusione del limite del 33% di assegnazione dei lotti in affidamento che si tradurrebbe in una riscontrata violazione dell’art. 80 co.5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016 per condotta idonea ad influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante mediante informazioni omesse, false o fuorvianti in ordine alla sussistenza di un unico centro decisionale, di per sé sufficiente a giustificare l’esclusione dalla gara per tutti i lotti;

V. – perplessità, erroneità e carenza di motivazione della sentenza appellata – poiché il giudice di primo grado, dopo averne in un primo momento statuito la non applicabilità alla fattispecie in esame, ha poi affermato, in chiara contraddizione con quanto prima sostenuto, che, anche a voler diversamente ritenere, l’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 sarebbe applicabile ai lotti per i quali sarebbe stata presentata più di un’offerta da parte delle società interessate e, quindi, per tutti i lotti alla cui assegnazione ha concorso la -OMISSIS- s.r.l. e per molti lotti (cioè 93) per i quali ha partecipato la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A.

La perplessità inficerebbe, peraltro, anche l’effetto conformativo scaturente dalla sentenza di accoglimento impugnata, non essendo chiaro se le offerte delle tre società collegate, pur essendo ammissibili in ragione della sostenuta non applicabilità dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, debbano unitariamente considerarsi ai fini del rispetto del vincolo di aggiudicazione del 33%.

VI. – violazione e o falsa applicazione dell’art. 6 del disciplinare di gara e dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 – poiché: VI.1) l’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 era richiamato nella sua interezza dall’art. 6 del disciplinare di gara e, quindi, l’adito T.a.r. non poteva distinguere tra commi applicabili e non applicabili della medesima disposizione; VI.2) erronea sarebbe l’affermata incompatibilità dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 alle procedure di affidamento di contratti attivi articolati in lotti distinti.

VII. – violazione e o falsa applicazione dell’art. 6 del disciplinare di gara e dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 – poiché il rilevato collegamento societario sarebbe certamente indicativo di un centro unico decisionale sanzionabile con l’esclusione delle tre società dalla procedura.

Con decreto monocratico n. 2016/2022, il Presidente della Sezione concedeva la misura cautelare richiesta, decretando la sospensione provvisoria degli effetti della sentenza appellata in ragione della riconosciuta prevalenza, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi delle parti private, dell’esigenza di mantenere inalterato l’assetto determinato dai provvedimenti impugnati dinanzi al T.a.r.

Con ricorso notificato e depositato il primo giugno 2022, il Comune di Genova proponeva appello incidentale, lamentando l’erroneità della decisione impugnata, analogamente a quanto già dedotto nell’appello principale, per i seguenti motivi: I) omessa dichiarazione di insussistenza dei presupposti per la proposizione di un ricorso cumulativo, in adesione al primo motivo dell’appello principale; II) violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato in ordine all’applicabilità ai contratti attivi dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.L. n. 50/2016; III) compatibilità ed applicabilità dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 anche alle procedure di affidamento dei contratti attivi, in quanto proiezione applicativa dell’art. 101 TFUE e dell’art. 57 co.4 lett. d) della Direttiva UE 2014/23; IV) contraddittorietà dell’affermazione secondo cui, qualora si ritenesse applicabile, l’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 non potrebbe applicarsi alle procedure contraddistinte da lotti diversi; V) omessa considerazione della doppia motivazione caratterizzante il provvedimento impugnato, essendo stata l’esclusione motivata tanto in ragione della riscontrata sussistenza di un centro decisionale unico ai sensi dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, quanto in ragione della elusione del 33% costituente limite all’aggiudicazione di più lotti, in subordine, lamentandosi l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha confermato la legittimità delle impugnate esclusioni quanto meno in relazione ai lotti eccedenti il vincolo di aggiudicazione del 33% previsto dal disciplinare di gara.

La -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A., costituendosi in giudizio, si opponeva all’accoglimento degli appelli, sostenendone l’infondatezza e riproponendo, in subordine, i medesimi motivi già proposti in primo grado e non esaminati dall’adito T.a.r., in quanto implicitamente ritenuti assorbiti dall’accoglimento del secondo motivo.

Con ordinanza n. 2729/2022, il Collegio, confermando il precedente decreto cautelare monocratico, sospendeva l’efficacia della sentenza appellata, ritenendo sussistenti i presupposti per l’accoglimento della domanda cautelare in considerazione sia delle finalità sottese alla previsione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 espressamente richiamate nella lex specialis, sia, peraltro, della preminente esigenza di mantenere inalterato l’assetto determinato dai provvedimenti impugnati davanti al T.a.r. a fronte anche dell’intervenuta stipula della convezione attuativa dell’affidamento.

Seguiva il deposito delle memorie conclusive e di replica con le quali il Comune di Genova depositava documenti nuovi di cui la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. eccepiva l’inammissibilità per contrasto con l’art. 104 c.p.a., producendo, a sua volta in subordine, documentazione a confutazione.

All’udienza pubblica del 6 dicembre 2022, il Collegio, dopo avere udito i procuratori delle parti costituite presenti, tratteneva gli appelli in decisione.

DIRITTO

I. – Deve, preliminarmente, rilevarsi l’inutilizzabilità della documentazione offerta in comunicazione dal Comune di Genova con il deposito in appello del 25 ottobre 2022 e, di conseguenza, anche degli allegati depositati a confutazione dall’-OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. il 16 novembre 2022.

L’art. 104 co.2 c.p.a., infatti, consente la produzione di documenti nuovi qualora il Collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa o la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

E poiché, nella fattispecie, la documentazione prodotta in appello, quand’anche di formazione successiva alla pronuncia della sentenza appellata, non è indispensabile per la decisione della controversia, essendo le questioni dedotte di puro diritto ed adeguatamente supportate dai documenti già offerti in comunicazione nel giudizio di primo grado, deve rilevarsi la violazione dell’art. 104 co.2 c.p.a. da parte sia del Comune di Genova che dell’-OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A.

Analoghe considerazioni valgono anche per la documentazione prodotta in appello dall’appellante principale.

Pertanto, non essendone prevista la formale espunzione dal fascicolo telematico, i documenti menzionati devono considerarsi come tardivamente depositati e, quindi, tamquam non essent (Consiglio di Stato, Sez. III, 20 novembre 2021, n.7937; Consiglio di Stato sez. VI, 12/01/2021, n. 395; Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3192; Consiglio di Stato sez. III, 13/09/2013, n. 4545), implicando la violazione dell’art. 104 co.2 c.p.a., al pari dei termini perentori di cui all’art. 73 c.p.a., la conseguenza dell’inutilizzabilità processuale.

II. – Con il primo motivo dei proposti appelli (principale ed incidentale) si lamenta l’erroneità della decisione impugnata per omessa declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado conseguente al dedotto superamento dei limiti alla proposizione di motivi concernenti plurimi lotti di un’unica procedura selettiva.

Secondo gli appellanti, il ricorso di primo grado, infatti, sarebbe in contrasto con l’art. 120 co. 11 bis c.p.a. o, in subordine, con il principio generale processuale di cui la predetta disposizione costituirebbe declinazione, in ragione delle differenti situazioni fattuali che contraddistinguerebbero i proposti motivi di impugnazione, considerata la possibilità di distinguere almeno tre diverse casistiche di riferimento, ed ossia: a) quella dei 93 lotti per i quali sono state presentate offerte da due delle tre società collegate, vale a dire dalla -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. e dalla -OMISSIS- s.r.l.; b) quella dei lotti per i quali sarebbe stata presentata offerta da parte di una sola delle tre società collegate, ed ossia 91 lotti per la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. e 93 lotti per la -OMISSIS- s.r.l.; c) quella dei lotti per i quali è stata presentata offerta da parte di una delle tre società collegate superando il limite del 33% dei lotti con offerte concorrenti, categoria quest’ultima, a sua volta, da distinguersi a seconda che l’unicità dell’offerta sia valutata considerando o meno le tre società delle quali si discute quale unico centro decisionale.

Ed invero: la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. avrebbe proposto il secondo motivo di ricorso, censurante l’applicabilità dell’art. 80 co.5 lett. m) c.p.a., in via principale contro l’esclusione da tutti i lotti ed, in subordine, contro l’esclusione dai soli 91 lotti per i quali aveva presentato offerta in assenza di offerte concorrenti della -OMISSIS- s.r.l. o della -OMISSIS- s.r.l., nella consapevolezza che i motivi di impugnazione avverso i predetti lotti non potevano che essere diversi da quelli contro l’esclusione dai 93 lotti per i quali la medesima -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. aveva presentato l’offerta insieme alla -OMISSIS- s.r.l.; il terzo motivo di ricorso avrebbe per oggetto soltanto i lotti inclusi nel limite del 33% di quelli con offerte concorrenti; la -OMISSIS- s.r.l., con motivi aggiunti, avrebbe, poi, ritenuto che l’eventuale riconoscimento dell’unicità del centro decisionale giustificherebbe al più l’esclusione soltanto per i lotti eccedenti il 33%; la -OMISSIS- s.r.l. non avrebbe, infine, distinto tra lotti da aggiudicarsi se fosse stata ritenuta insussistente l’unicità del centro decisionale e lotti che avrebbe potuto aggiudicarsi in caso contrario, cioè rientranti nel vincolo di aggiudicazione del 33% (per un ammontare di 88 lotti).

II.1. – Il motivo proposto dagli appellanti evoca il complesso tema dei presupposti di omogeneità richiesti per l’ammissibilità del ricorso cumulativo, ossia avente per oggetto l’impugnazione più atti tra loro distinti e non connessi, come nella fattispecie in esame.

La suddivisione, infatti, del bene in affidamento in più lotti, tra loro autonomi come nell’occasione riscontrabile, conforma la procedura di affidamento al punto da qualificarla come procedimento ad oggetto plurimo, ossia contraddistinto da una molteplicità di posizioni economiche di vantaggio rispetto alle quali il potere esercitato dall’Amministrazione non si manifesta all’esterno come unitario, essendo, invece, autonomamente identificabile per ciascuno degli oggetti considerati al punto da poter condurre per ognuno di essi ad esiti differenti ed indipendenti gli uni dagli altri.

In tal senso, i 277 lotti della procedura in esame ne costituiscono un esempio, rappresentando distinti beni della vita di rilevanza economica da affidare e per i quali si prospetta la possibilità di assegnazioni tra loro autonome.

Donde, il tema dell’ammissibilità di un ricorso avverso l’esito della procedura di affidamento di più lotti.

II.2. – Secondo quanto ripetutamente affermato dal Consiglio di Stato, nel processo amministrativo impugnatorio la regola generale è nel senso che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi-motivi si correlino strettamente a quest'ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l'abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo (Consiglio di Stato sez. III, 15/07/2019, n. 4926 e giurisprudenza ivi citata Consiglio di Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5; altresì, IV, 26 agosto 2014, n. 4277; V, 27 gennaio 2014, n. 398; V, 14 dicembre 2011, n. 6537).

Nel processo amministrativo, quindi, il ricorso cumulativo, pur non essendo precluso in astratto ha, comunque, carattere eccezionale, che si giustifica se ricorre una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad una stessa ed unica sequenza procedimentale o iscrivibili all'interno della medesima azione amministrativa (Cons. Stato, V, 22 gennaio 2020, n. 526; Cons. Stato Sez. VI, 16/04/2019, n. 2481; Consiglio di Stato, Sez. III, 7 dicembre 2015 n. 5547; Consiglio di Stato, Sez. IV, 18 marzo 2010 n. 1617; Consiglio di Stato sez. IV, 21/09/2020, n. 5514; C.d.S., sez. III, 3 luglio 2019, n. 4569, e sez. III, 23 ottobre 2013, n. 5141).

Analogamente, affinché i ricorsi collettivi siano ammissibili nel processo amministrativo, occorre che vi sia identità di situazioni sostanziali e processuali; è, in particolare, necessario che le domande giudiziali siano identiche nell'oggetto, ossia afferiscano ai medesimi atti e rechino le medesime censure; le posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti siano del tutto omogenee e sovrapponibili; i ricorrenti non versino in condizioni di neppure potenziale contrasto (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. IV , 18/03/2021 , n. 2341; per un'applicazione in materia di quote latte cfr. Cons. St., sezione II, parere n. 5726 del 2008 reso nell'Adunanza del 7.5.2008 su ricorso n. 536 del 2008).

II.2.1. – Se, dunque, il ricorso cumulativo risponde alla logica della riunione tra giudizi, esso postula la sussistenza di evidenti ragioni di economia processuale che il ricorrente valuta a priori sussistente, anticipando il giudizio di cui all’art. 70 c.p.a. sulla base di una prospettata connessione soggettiva e o oggettiva che potrebbe anche essere disattesa, in quanto non condivisa, dal giudice amministrativo adito.

Nel processo amministrativo la riunione dei ricorsi connessi, infatti, attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell'art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti all’uopo adottati hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e non sono sindacabili in sede di gravame, ad eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice.

La riunione di ricorsi legati da vincoli di connessione soggettiva od oggettiva non è, dunque, mai obbligatoria, essendo rimessa ad una valutazione di mera opportunità, afferente a ragioni di economia processuale, della loro trattazione congiunta, tanto più considerato che, quand’anche disposta, la riunione di cause connesse lascia inalterata l'autonomia dei singoli giudizi (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 3056 del 4 giugno 2013), sicché l'esercizio (o il mancato esercizio) di una facoltà attinente esclusivamente al buon governo dei processi non può nemmeno condizionarne l'esito (Consiglio di Stato sez. IV, 7 marzo 2019, n. 1573).

Se, dunque, la riunione costituisce una scelta discrezionale del giudice rispondente alle richiamate logiche di economia processuale, il ricorso cumulativo preclude il sindacato giurisdizionale ex art. 70 c.p.a. di opportunità presiedente la scelta di disporre la trattazione congiunta di più ricorsi, prestabilendo una riunione che, se non giustificata da effettive ragioni di connessione, potrebbe legittimare una declaratoria di inammissibilità del ricorso, a fronte dell’insussistenza di un diritto potestativo del ricorrente di imporre la trattazione unitaria in un unico processo di più azioni tra loro non realmente connesse.

Il che impone un delicato ed attento esame, tanto maggiore quanto si discuta di eventuali connessioni giustificanti l’impugnazione congiunta di più atti tra loro distinti, non connessi e non appartenenti alla medesima sequenza procedimentale, come, ad esempio, i differenti lotti di una procedura di gara.

II.2.2. – Sul punto, l’art. 120 co. 11 bis c.p.a. statuisce che “Nel caso di presentazione di offerte per più lotti l’impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto”.

Il giudice di prime cure ha ritenuto non applicabile la richiamata disposizione processuale, poiché l’intero rito speciale contemplato dagli artt. 119 lett. a) e 120 c.p.a. non lo sarebbe alle controversie aventi per oggetto, come nel caso in esame, procedure di affidamento di contratti attivi, tali dovendosi considerare le concessioni di beni pubblici in questione in quanto concernenti il suolo ed i 277 impianti pubblici da affidare per l’esercizio di attività pubblicitaria.

Il Collegio osserva che, secondo quanto chiarito dall’Adunanza Plenaria n. 22/2016: «l'espressione "procedure di affidamento", usata dall'art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a., ha ricevuto una definizione puntuale all'art. 3, comma 36, del d.lgs. n. 163 del 2006 (ma, poi, ripetuta, con le medesime parole, dall'art. 3, lett. rrr, nel d.lgs. n. 50 del 2016) nei termini che seguono: "Le "procedure di affidamento" e l'"affidamento" comprendono sia l'affidamento di lavori, servizi, o forniture, o incarichi di progettazione, mediante appalto, sia l'affidamento di lavori o servizi mediante concessione, sia l'affidamento di concorsi di progettazione e di concorsi di idee." Come si vede, dunque, la stessa locuzione analizzata nel presente giudizio è già stata oggetto, in un altro provvedimento normativo, di una definizione esplicativa del suo significato, che ne ha chiarito i contenuti, precisando, per quanto qui rileva, che in essa resta compreso anche "l'affidamento di lavori o servizi mediante concessione". Orbene, a fronte di una definizione così chiara del significato dell'espressione contenuta nell'art. 119, comma 1, lett. a) c.p.a., non residua spazio per esegesi difformi da essa, alla quale l'interprete deve intendersi, infatti, vincolato».

L’Adunanza Plenaria ha, inoltre, precisato che «concorre ad avvalorare la soluzione ut supra indicata anche l'utilizzo del criterio ermeneutico finalistico, ancorché non utilizzabile in via principale o esclusiva (come già rilevato). È sufficiente, al riguardo, osservare che la ratio del rito speciale in questione, agevolmente identificabile nell'esigenza della sollecita definizione dei giudizi aventi a oggetto provvedimenti amministrativi riferibili all'esercizio di funzioni pubbliche che implicano la cura di interessi generali particolarmente rilevanti (e che, come tali, non tollerano una prolungata situazione giudiziaria di incertezza), risulta riferibile nella stessa misura alle controversie relative agli appalti e a quelle concernenti le concessioni. Anche gli atti che incidono su quest'ultima formula contrattuale, infatti, necessitano di una cognizione giurisdizionale rapida, al pari di (o, comunque, non inferiore a) quelli che riguardano gli appalti, con il duplice corollario che un'esegesi che li escludesse dall'ambito applicativo del rito speciale finirebbe per vanificare la predetta (palese) finalità e che, viceversa, una compiuta soddisfazione dell'anzidetto interesse pubblico impone una lettura degli artt. 119 e 120 c.p.a. che vi comprenda anche le controversie relative alle concessioni. 7.Non solo, ma le ineludibili esigenze sistematiche di sicurezza giuridica e di coerenza ordinamentale impongono di assoggettare al rito speciale anche le procedure concernenti le concessioni, al fine di evitare ogni incertezza circa le regole processuali applicabili ai contratti misti. Le controversie relative a tale tipologia contrattuale, ampiamente conosciuta nella prassi e adesso codificata dall'art. 169 del d.lgs. n. 50 del 2016, soffrirebbero, infatti, di un'inammissibile instabilità regolativa, se si accedesse alla tesi che il rito speciale si applica solo agli appalti, costringendo il giudice a indagare l'oggetto principale del contratto, al solo fine di identificare le norme processuali di riferimento. Si tratta, come si intuisce agevolmente, di un effetto paradossale e pericoloso, che espone i giudizi sui contratti pubblici ad inaccettabili ambiguità processuali, che contraddicono proprio le esigenze di speditezza delle controversie in questione e che vanno, appunto, scongiurate, accedendo all'opzione ermeneutica sopra preferita».

I richiamati principi espressi dall’Adunanza Plenaria scaturiscono da un’interpretazione estensiva (e non analogica) della nozione di “procedure di affidamento” come significativa dell'atto con cui, contestualmente, la pubblica amministrazione sceglie il suo contraente e gli attribuisce la titolarità del relativo rapporto, al punto che «La valenza generale del termine, quindi, deve intendersi come comprensiva di tutte le tipologie contrattuali in relazione alle quali resta logicamente concepibile un affidamento e, quindi, sia degli appalti che delle concessioni».

Sennonché, l’art. 119 co.1 lett. a) e l’art. 120 c.p.a. si riferiscono soltanto all’affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture e non anche di beni, come nel caso in esame.

Donde, la conclusione secondo cui la condivisibile qualificazione di contratto attivo delle molteplici concessioni di beni pubblici oggetto di affidamento della procedura in questione formalmente precluderebbe l’applicazione del rito abbreviato di cui agli artt. 119 lett. a) e 120 c.p.a. (e con essa anche della richiamata regola di cui all’art. 120 co.11 bis c.p.a.) espressamente prevista per le controversie relative a provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture.

Sennonché, per quanto di stretto interesse in questa sede, l’art. 120, comma 11 bis, c.p.a. è stato introdotto nel codice del processo amministrativo dall'art. 204, comma 1, lett. i), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, quale norma recettiva e replicativa di un precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di proponibilità del ricorso cumulativo in relazione proprio a gare pubbliche divise in più lotti (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014 n. 4305 che richiama; Cons. Stato Sez. V, 17-01-2011, n. 202; Cons. Stato Sez. VI, 22-10-2008, n. 5182; Cons. Stato Sez. IV, 11-07-2001, n. 3872; Cons. Stato Sez. VI, 18 luglio 1997, n. 1129).

E poiché l’elemento caratterizzante del richiamato indirizzo giurisprudenziale e della evocata disciplina processuale normativa che ne costituisce proiezione applicativa non è di natura sostanziale ma strutturale-procedimentale, dipendendo, infatti, non dalla qualificazione giuridica “attiva” o “passiva” del contratto da affidare, ma dalla predisposizione a monte di un procedimento amministrativo di tipo concorsuale ad oggetto plurimo, in quanto tendente ad affidare molteplici e distinti vantaggi economici suddivisi in autonomi e separati lotti, la regola contemplata dall’art. 120 co. 11 bis c.p.a. deve ritenersi applicabile anche alla fattispecie in esame, non sussistendo differenze procedimentali tali da giustificare una conclusione diversa tra la procedura di affidamento di una concessione di beni pubblici per lotti distinti e quella di affidamento di contratti di appalto per lotti separati, rilevando soltanto l’incidenza della tipologia di illegittimità dedotta in giudizio sull’autonomia procedurale caratterizzante l’esito del procedimento per ciascun singolo lotto.

II.2.3. – Sul punto, il Collegio non intende affermare l’applicazione analogica dell’art. 120 co. 11 bis c.p.a. a casi non rientranti nel suo ambito elettivo di applicazione, posto che, in ossequio al divieto di cui all’art. 14 disp. prel. c.c., non appare ammissibile, in linea di principio, il ricorso all’analogia in un settore, come quello delle norme processuali, contraddistinto da regole di stretta interpretazione in quanto incidenti in senso limitativo sulle possibili modalità di esercizio del diritto costituzionale (art. 24 Cost.) di agire in giudizio per la tutela della propria sfera giuridica mediante un complesso coordinato di disposizioni normative disciplinanti le azioni esperibili per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, l’individuazione dell’Autorità Giudiziaria da adire, la tipologia degli atti proponibili, le forme processuali da osservare ed il tempo di proposizione da rispettare ed ogni altro aspetto e profilo concernente i c.d. presupposti del processo e le condizioni dell’azione.

Il principio, infatti, che si intende affermare è, invece, l’applicabilità al caso in esame di una regola processuale di cui l’art. 120 co.11 bis c.p.a. costituisce disposizione ripetitiva (e non innovativa) e che rinviene il suo fondamento in un consolidato e pregresso orientamento giurisprudenziale enunciato in tema di gare suddivise in lotti e di cui è possibile in questa sede il richiamo in ragione delle comuni peculiarità strutturali caratterizzanti i procedimenti di affidamento tanto di concessioni, quanto di appalti in più lotti.

Affermata, dunque, l’applicabilità della regola di cui l’art. 120 co.11 bis c.p.a. costituisce proiezione applicativa, il Collegio osserva che, con riguardo alle gare pubbliche in cui siano presentate offerte per più lotti, l'impugnazione possa essere proposta con ricorso cumulativo soltanto se vengano dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto, nel presupposto che l'atto impugnato riguardi tutti i lotti oggetto di gara, ma sempre ferma restando l'ammissibilità dell'impugnazione anche di più atti, comuni a tutti i lotti, purché tra loro connessi perché appartenenti alla medesima sequenza o azione amministrativa (Consiglio di Stato sez. V, 27 settembre 2022, n.8337).

Donde, la corretta lettura dell'art. 120, comma 11 bis, c.p.a. in coerenza con la precedente giurisprudenza (ex multis cfr. Cons. Stato, III, 4 febbraio 2016, n. 449), secondo cui il ricorso cumulativo degli atti di gara è possibile soltanto se le censure proposte siano idonee a comportare l'annullamento di atti procedimentali comuni a tutti i lotti e tra loro connessi, perché solo in questo caso la medesima causa petendi e la connessione giustificano la trattazione congiunta di diverse domande di annullamento.

Va, quindi, ribadito che l'ammissibilità del ricorso cumulativo contro gli atti di una gara divisa in lotti resta subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni, sussistendo, infatti, in questi casi una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa caducatoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta (Cons. Stato, III, 15 maggio 2018, n. 2892; id, III, 15 luglio 2019, n. 4926; CGARS, 7 gennaio 2020, n. 17).

La violazione della regola di rito appena enunciata implica, dunque, le seguenti conseguenze:

- il ricorso cumulativo è inammissibile nella sua interezza se contiene più censure fondate su distinte causae petendi, ciascuna delle quali riferita (o riferibile) a lotti distinti;

- se invece il ricorso contiene più censure, alcune delle quali fondate sulla medesima causa petendi riferita (o riferibile) a tutti i lotti, per tali censure il ricorso è ammissibile, anche se, in aggiunta a queste ultime, sono proposte una o più censure riferite (o riferibili) ad alcuni soltanto dei lotti; in tale ultima eventualità la sanzione di inammissibilità riguarda i motivi di ricorso non comuni.

Deve, altresì, precisarsi che la previsione normativa della loro necessaria proposizione "avverso lo stesso atto" (ex art. 120, comma 11 bis, c.p.a.) non rende sempre inammissibili i ricorsi cumulativi proposti contro atti diversi della stessa procedura di gara. Infatti, alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata, anche nel caso di gare divise in lotti, l'impugnazione unitaria – così come d'altronde è la regola per le gare a lotto unico – può avere ad oggetto più atti della stessa procedura di gara, purché legati da connessione funzionale o procedimentale. In particolare, possono essere oggetto del ricorso introduttivo tutti gli atti della stessa procedura fino a quel momento adottati, essendo ammissibile il cumulo delle domande di annullamento tra loro connesse ex art. 32 c.p.a., mentre – allo stesso fine di realizzare l'economia dei giudizi – "i nuovi" atti della medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti (ex art. 120, comma 7, c.p.a.).

In conclusione, per l'ammissibilità del ricorso cumulativo avverso gli atti delle gare divise in lotti è necessaria la comunanza delle censure a tutti i lotti, mentre la riferibilità di uno o più motivi a singoli lotti ne comporta l'inammissibilità per violazione dell'art. 120, comma 11 bis, c.p.a. (Consiglio di Stato sez. V, 27 settembre 2022, n.8337).

II.4. – L’applicazione dei richiamati criteri ermeneutici induce il Collegio a dichiarare infondata l’eccezione di inammissibilità dedotta con il primo motivo di appello dall’appellante principale e dall’appellante incidentale.

Sul piano oggettivo, infatti, la domanda di annullamento è contraddistinta da un petitum identificabile in atti appartenenti alla medesima sequenza procedimentale (ed ossia, sostanzialmente, l’esclusione dalla procedura e l’aggiudicazione) e da motivi di impugnazione, costituenti la causa petendi, non differenziati per singolo lotto o per gruppi di lotti, essendo interesse dell’appellata partecipare alla gara conseguendo l’aggiudicazione di tutti i lotti di suo interesse.

L’omogeneità dell’art. 120 co. 11 bis c.p.a., infatti, deve essere valutata in diritto e non in fatto, dovendo il giudice accertare se le questioni dedotte dalla parte ricorrente siano tali da consentire una trattazione unitaria ed omogenea dei motivi di impugnazione formulati. E poiché i motivi proposti dalla società ricorrente in primo grado sono propedeutici a conseguire l’annullamento dell’impugnato provvedimento di estromissione dalla partecipazione alla procedura per tutti i lotti per i quali è stata presentata l’offerta a fronte della controversa applicazione dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 anche in funzione del limite di assegnazione del 33% previsto dall’art. 3.2. del disciplinare di gara, deve ritenersi rispettato il requisito sancito dalla giurisprudenza.

Né, peraltro, potrebbe pregiudicare l’identità dei motivi di ricorso l’eventuale domanda tendente ad ottenere la riammissione in gara soltanto per i lotti suscettibili di assegnazione entro il limite del 33%, trattandosi di una linea difensiva articolata in subordine rispetto alla principale e pur sempre tendente alla caducazione del provvedimento di esclusione ed al pieno riconoscimento della posizione nelle varie graduatorie di interesse conforme all’offerta formulata.

Il primo motivo degli appelli in esame, pertanto, è destituito di fondamento.

III. – Con il secondo motivo di appello, l’appellante principale lamenta l’erroneità della decisione impugnata per inosservanza del principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c. e, quindi, della necessaria corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

Secondo l’appellante, infatti, l’adito T.a.r., ritenendo non applicabile l’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, avrebbe disapplicato l’art. 6 del disciplinare di gara, peraltro, in assenza di un’apposita domanda in tal senso, neanche proposta sub specie di preteso annullamento per illegittimità, non essendo stata formulata né richiesta nel ricorso di prime cure dalla -OMISSIS-s.r.l. e dalla -OMISSIS- s.r.l. e, non potendosi all’uopo ritenere sufficiente, la mera menzione del predetto art. 6 nella parte in fatto del ricorso di primo grado della -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A.

L’appellante principale, inoltre, ritiene, in subordine, che il ricorso sarebbe, comunque, in parte qua irricevibile, non essendo stata tempestivamente impugnata la predetta clausola escludente del disciplinare di gara a fronte della sua immediata lesività per le predette società.

L’appellata si difende sostenendo che, a prescindere dalle previsioni del bando, le cause di esclusione dalla procedura sono previste dalla legge e, quindi, il richiamo dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 contemplato nell’art. 6 del disciplinare di gara non sarebbe rilevante, a fronte della non applicabilità della richiamata disciplina alle procedure di affidamento di contratti attivi, come quelli in questione.

III.1. – Il Collegio, anzitutto, richiama, in relazione alla prima eccezione di inammissibilità, l’orientamento giurisprudenziale acquisito ed incontroverso secondo cui, se, da un lato, la clausola di stile "ogni atto presupposto, conseguente e connesso" o similare apposta nell'epigrafe di un ricorso non vale ad assolvere all'onere di specificare il provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, Sez. V, n.1517/2018), dall’altro, l'individuazione degli atti impugnati deve essere operata non già con riferimento alla sola epigrafe, bensì in relazione all'effettiva volontà del ricorrente, quale desumibile dal tenore complessivo del gravame e dal contenuto delle censure dedotte (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 gennaio 2014 n.101; Cons. St., Sez. III, 1° febbraio 2012, n. 516; Cons. Stato, IV, 26 gennaio 2009, n. 443 e 21 giugno 2001, n. 3346), al punto da poter indurre a ritenere oggetto di impugnativa tutti gli atti che, sebbene non espressamente indicati tra quelli impugnati ed indipendentemente dalla loro menzione nell’epigrafe, costituiscono senz'altro oggetto delle doglianze di parte ricorrente in base ai contenuti dell'atto di ricorso (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 25 marzo 2016, n. 1242). Per converso, non può del pari ritenersi sufficiente, per radicarne l'impugnazione, il generico richiamo, nell'epigrafe del ricorso, alla richiesta di annullamento di atti o la mera citazione di un atto nel corpo del ricorso stesso, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell'oggetto della domanda e a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure; ciò perché solo l'inequivoca indicazione del petitum dell'azione di annullamento consente alle controparti la piena esplicazione del loro diritto di difesa (Cons. Stato, sez, IV, 12 maggio 2014, n. 2417).

III.1.1. – Nella fattispecie, l’appellata ha indicato in epigrafe l’espressa volontà di impugnare tutti gli atti di gara, contestando, poi, con il secondo motivo l’applicabilità, per quanto di interesse in questa sede, della “clausola di esclusione” in ragione della natura pluri-oggetto della procedura di gara, dovendosi considerare la singolarità ed autonomia delle assegnazioni della pluralità dei lotti previsti.

Con il terzo motivo è stata, poi, contestata l’esclusione integrale da tutti i lotti, poiché quand’anche applicabile, la predetta clausola escludente avrebbe dovuto essere applicata in relazione all’intero centro decisionale e per tutti i lotti interessati, ai fini del rispetto del limite di assegnazione del 33%.

Con il quarto motivo si contesta l’applicazione nel merito della clausola, ossia la riscontrata sussistenza del centro unico decisionale, lamentandosene l’illegittimità per difetto di istruttoria e di motivazione.

Non può, dunque, ritenersi che l’art. 6 del disciplinare di gara, sebbene non menzionato, non costituisca oggetto di impugnazione, essendo evidente lo scopo perseguito tendente ad ottenere l’annullamento del provvedimento di esclusione per illegittimità proprio della lex specialis. Donde, la certezza che l’oggetto del contendere fosse costituito dall’art. 6 del disciplinare di gara.

La censura è, dunque, infondata.

III.1.2. – Con il secondo profilo di illegittimità dedotto nell’ambito del secondo motivo di appello, l’appellante principale lamenta l’irricevibilità del ricorso di primo grado, poiché la clausola escludente di cui all’art. 6 sarebbe immediatamente lesiva della sfera giuridica delle tre società coinvolte.

Il Collegio osserva che l’eccezione dedotta rievoca il complesso tema dell’individuazione delle clausole del bando di gara suscettibili di immediata impugnazione da parte del candidato interessato a partecipare alla procedura.

III.1.2.1. – Come noto, per gli atti amministrativi a carattere generale, destinati alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti nei confronti di una pluralità di destinatari, non determinati nei provvedimenti, ma chiaramente determinabili, si pone il problema della loro lesività immediata prima dell'adozione degli atti applicativi ed ossia prima che gli atti applicativi delle clausole degli atti generali identifichino in concreto i destinatari effettivamente lesi nella loro sfera giuridica soggettiva.

Applicando i principi consolidati enunciati in ordine all'identificazione del momento della tempestiva impugnazione degli atti generali, è stato affermato che i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno, normalmente, impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato. A fronte, infatti, della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all'impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l'astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare. D'altra parte, ove l'esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l'atto che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l'atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi, ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo astrattamente e potenzialmente si era manifestata e che non aveva ancora attitudine (per mancanza del provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva. È per tale ragione che è stata, pertanto, tradizionalmente affermata l’impugnabilità del bando di gara o del concorso, o della lettera di invito, normalmente con l'atto applicativo, conclusivo del procedimento concorsuale, con la sola eccezione delle clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione, in quanto immediatamente escludenti (Ad. Plen. n. 1/2003, in tal senso anche Ad. Plen. n. 4/2018).

III.1.2.2. – Secondo quanto, poi, affermato dal Consiglio di Stato, legittimanti l’impugnazione immediata di un bando financo in assenza di una domanda di partecipazione e di un eventuale provvedimento di esclusione, in quando di carattere escludente e quindi direttamente lesive, possono essere, secondo un’elencazione meramente esemplificativa e non esaustiva della possibile casistica:

a) le clausole impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati ai fini della partecipazione;

b) le regole procedurali che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. Stato, Ad. plen. n. 3 del 2001);

c) le disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara oppure prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (Cons. Stato, V, 24 febbraio 2003, n. 980);

d) le condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e non conveniente (Cons. Stato, III, 23 gennaio 2015, n. 293);

e) le clausole impositive di obblighi contra ius;

f) le gravi carenze nei bandi in punto di indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta oppure le clausole contemplanti formule matematiche del tutto errate;

g) l’omessa indicazione nel bando dei costi della sicurezza non soggetti a ribasso (Cons. Stato, III, 3 ottobre 2011, n. 5421).

III.1.2.3. – Nella fattispecie, la clausola di cui all’art. 6 del disciplinare di gara, pur non rientrando in nessuna delle ipotesi predette, appare contraddistinta da un’evidente portata escludente, essendo direttamente incidente sulla sfera giuridica dell’interessato, in quanto richiamante l’integrale disciplina dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 contemplante, a sua volta, l’elencazione dei motivi di esclusione.

Le cause di esclusione da una procedura di gara, infatti, condividono con i requisiti di partecipazione la stessa funzione di regole delimitative della platea dei possibili concorrenti, costituendo, a loro volta, dei veri e propri requisiti di partecipazione in negativo, ossia non riscontrabili nei confronti del candidato che validamente e legittimamente concorra all’aggiudicazione del contratto pubblico in affidamento. Donde, la loro immediata incidenza nei riguardi di chi ne soddisfi i presupposti, integrandone gli estremi, al punto da giustificare l’adozione del provvedimento di estromissione dalla procedura di gara.

E poiché direttamente incidenti sull’aspirazione a partecipare alla procedura per concorrere all’aggiudicazione del contratto pubblico in affidamento, le cause di esclusione sono, per antonomasia, contraddistinte da una portata escludente, con conseguente onere di immediata contestazione per l’interessato che ne lamenti l’illegittimità.

III.1.2.4. – Sul punto, però, occorre distinguere il caso in cui si contesti la prevista “applicabilità” alla procedura di gara di una causa di esclusione contemplata o richiamata dal bando, da quello in cui si lamenti la corretta e concreta “applicazione” della predetta causa nei confronti di un concorrente, trattandosi di due questioni differenti, implicanti la valutazione della legittimità di fasi procedimentali diverse.

Ed invero, mentre nella prima ipotesi, il candidato lamenta l’illegittima previsione nel bando di una clausola di portata escludente, formulando una censura diretta nei confronti di una regola di gara limitativa della platea dei concorrenti, da cui si desume l’immediato interesse a ricorrere in ragione dell’implicita (se non esplicita) ammissione o della mancanza del requisito di partecipazione (attivo) richiesto o del soddisfacimento della causa di esclusione prevista (requisito di partecipazione negativo), nella seconda ipotesi, il candidato non contesta la previsione della regola di gara escludente, ma la sua corretta applicazione nei propri riguardi, ritenendo di non poterne essere destinatario per carenza dei relativi presupposti applicativi.

Se, dunque, nella prima ipotesi si intende contestare la legittimità della scelta (a monte) dell’Ente aggiudicatore di inserire una certa clausola escludente tra le regole di gara, nella seconda si censura, invece, la legittimità della decisione (a valle) costituente proiezione applicativa di quella clausola escludente, lamentandosene la falsa applicazione per travisamento dei presupposti.

Donde, la differenza tra l’una e l’altra fattispecie, poiché l’interesse a ricorrere se nella prima si configura immediatamente con la pubblicazione del bando a fronte dell’implicita o esplicita ammissione di non possesso del controverso requisito (positivo o negativo) di partecipazione richiesto, nella seconda, invece, postula l’adozione di un provvedimento di esclusione che l’Ente aggiudicatore adotterà all’esito di un’istruttoria in applicazione di quella certa regola di gara, in ragione del dichiarato possesso del requisito richiesto dalla lex specialis da parte del candidato interessato.

III.1.2.5. – Il che implica, nel caso in esame, la parziale fondatezza del motivo di appello, poiché, se in relazione all’applicazione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, le censure dedotte dalla società appellata in ordine alla presunta sussistenza in concreto di un centro unico decisionale sono state tempestivamente proposte dopo l’adozione dell’impugnato provvedimento di esclusione, essendo l’oggetto del contendere costituito dalla sussistenza dei presupposti applicativi della richiamata disposizione, con riguardo, invece, all’applicabilità della predetta norma alla procedura in questione, l’impugnazione si palesa tardiva, in quanto proposta (con ricorso di primo grado notificato il 2 dicembre 2021) oltre i 60 giorni di cui all’art. 41 co.2 c.p.a. decorrenti dalla scadenza del termine previsto per la pubblicazione della lex specialis contemplante una regola di gara immediatamente escludente ed in relazione alla quale, dunque, si configurava un immediato onere di agire in giudizio.

Donde, la parziale irricevibilità del ricorso di primo grado proposto dalla società appellata, essendo tardiva la censura n. 2 volta a contestare l’applicabilità dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 alla procedura in questione.

IV. – Con il terzo motivo di appello principale, coincidente con il secondo motivo dell’appello incidentale, si lamenta l’erroneità della decisione impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, poiché in nessuno dei motivi di impugnazione del ricorso di primo grado sarebbe stata contestata l’applicazione dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 alle procedure di affidamento dei contratti attivi, essendone stata soltanto prospettata l’inapplicabilità per altre ragioni non connesse alla natura attiva o passiva del contratto da stipulare.

L’appellata si difende sostenendo che il giudice di primo grado si sarebbe soltanto limitato a riqualificare il secondo motivo di ricorso.

IV.1. – Il Collegio, anzitutto, osserva che il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, codificato dall'art. 112 c.p.c. può ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi identificativi dell'azione, cioè il petitum e la causa petendi, attribuendo quindi un bene della vita diverso da quello richiesto ovvero ponendo a fondamento della propria decisione fatti o situazioni estranei alla materia del contendere, ma non anche quando procede alla qualificazione giuridica dei fatti e della domanda giudiziale ovvero alla sua interpretazione (Cons. Stato, Adunanza plenaria, n. 7 del 19 aprile 2013; sez. IV, n. 5743 del 9 agosto 2021).

Ai fini del decidere, rileva, dunque, la distinzione tra motivo di ricorso ed argomentazione a sostegno di ciascuno dei motivi, così come delineata – per delimitare l'ambito della revocazione – dalla sentenza dell'Adunanza plenaria 27 luglio 2016, n. 21. Il motivo di ricorso delimita ed identifica la domanda spiegata nei confronti del giudice e in relazione ad esso si pone l'obbligo della corrispondenza, in positivo o in negativo, tra chiesto e pronunciato, nel senso che il giudice deve pronunciarsi su ciascuno dei motivi e non soltanto su alcuni di essi; a sostegno del motivo – che identifica la domanda prospettata di fronte al giudice – la parte può addurre, poi, un complesso di argomentazioni, volta a illustrare le diverse censure, ma che non sono idonee, di per se stesse, ad ampliare o restringere la censura, e con essa la domanda (Consiglio di Stato sez. V, 04/12/2020, n.7692).

Rispetto a tali argomentazioni non sussiste un obbligo di specifica pronunzia da parte del giudice, il quale è tenuto a motivare la decisione assunta esclusivamente con riferimento ai motivi di ricorso come sopra identificati (Cons. Stato, V, 27 luglio 2017, n. 3701).

Il tema è, dunque, complesso poiché rievoca, nel particolare caso dell’ultrapetizione, la (non sempre agevole) distinzione tra “motivo” ed “argomenti a sostegno” che attengono alla causa petendi, ossia a quel profilo identificativo della domanda direttamente incidente sul diritto di difesa delle controparti.

Donde, la rilevanza della questione nella prospettiva non soltanto di colui il quale propone il motivo, ma anche (e soprattutto) di quanti siano interessati a confutarne la fondatezza.

Secondo quanto chiarito dal Consiglio di Stato, il principio della domanda, di cui agli artt. 99 Cod. proc. civ. e 2907 Cod. civ., espressione del potere dispositivo delle parti e di cui rappresenta completamento il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in base all'art. 112 Cod. proc. civ., pacificamente applicabile anche al processo amministrativo, comporta che sussiste il vizio di ultrapetizione nell'ipotesi in cui vi sia stata pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni formulate o su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, ed anche se il giudice ha esaminato ed accolto il ricorso per un motivo non prospettato dalle parti; in tale evenienza l'accertamento compiuto in sentenza finisce per riguardare un petitum ed una causa petendi nuovi e diversi rispetto a quelli fatti valere nel ricorso e sottoposti dalle parti all'esame del giudice, con conseguente attribuzione di un bene o di un'utilità non richiesta dalla parte ricorrente (in termini Cons. Stato, V, 14 giugno 2019, n. 4024).

Siffatto principio, per cui il giudice non può pronunciare oltre i limiti della concreta ed effettiva questione che le parti hanno sottoposto al suo esame e dunque oltre i limiti del petitum e della causa petendi, va ulteriormente specificato nell'ambito del processo amministrativo attraverso l'articolazione dei motivi di ricorso; ne consegue che sussiste il vizio di ultrapetizione laddove il giudice abbia attribuito alla parte una utilitas che non era stata richiesta e laddove abbia esaminato ed accolto il ricorso per un motivo non prospettato dalle parti (Cons. Stato, VI, 6 settembre 2010, n. 6473).

IV.2. – Al riguardo occorre precisare che l’argomentazione di diritto assume peculiare rilevanza identificativa del motivo di impugnazione nell’ambito di un giudizio di legittimità, in cui, cioè, il thema decidendum è costituito dalla conformità o meno alla legge di un atto amministrativo, non potendo ritenersi sufficiente la mera indicazione della norma violata o falsamente applicata, a pena di inammissibilità della censura per genericità della doglianza.

Perché, infatti, possa ritenersi la domanda non in contrasto con il diritto di difesa delle controparti, il motivo di illegittimità dedotto deve soddisfare i requisiti di chiarezza e precisione di cui all’art. 40 co. 1 lett. d) c.p.a., dovendo, quindi, essere pienamente comprensibile non soltanto sul piano dell’indicazione dei parametri normativi di riferimento, ma anche delle concrete ragioni giustificanti la doglianza, ossia delle argomentazioni di diritto a sostegno del motivo di ricorso che concorrono, in modo determinante, alla qualificazione dell’oggetto del giudizio.

Diversamente opinando, il giudice potrebbe addurre argomenti a sostegno delle censure dedotte non evocate, neanche implicitamente, dal ricorrente, senza, peraltro, avere l’obbligo di richiamare l’attenzione delle parti ai sensi dell’art. 73 co.3 c.p.a., non ponendo a fondamento della decisione una questione nuova.

La qualificazione giuridica del motivo non può, quindi, spingersi al punto da rinvenire cause giustificanti l’accoglimento della doglianza ulteriori e diverse da quelle dedotte dal ricorrente, non potendo motivare il giudice di primo grado la propria decisione sulla base di un motivo mai proposto e rispetto alla quale le controparti non abbiano avuto la possibilità di difendersi.

IV.3. – Con riguardo al caso in esame, il tema della non applicabilità dell’art. 80 co.5 lett. m) c.p.a. alle procedure di affidamento di contratti attivi non costituisce una mera argomentazione a sostegno del secondo motivo del ricorso di primo grado, in quanto elemento caratterizzante la doglianza di legittimità in sé e, quindi, il motivo nella sua specificità considerato, determinando la ragione stessa della lamentata inapplicabilità della disciplina normativa richiamata dal disciplinare di gara.

Sennonché, la società appellata non ha dedotto uno specifico motivo di ricorso in tal senso, avendo, invece, contestato l’applicabilità dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 per incompatibilità con le procedure di affidamento ad oggetto plurimo, ossia contraddistinte da più lotti.

Né, peraltro, si può ritenere che l’argomentazione in diritto adottata dal giudice di primo grado abbia costituito oggetto di dibattito nell’ambito del processo, poiché né l’Amministrazione resistente, né la controinteressata hanno mai discusso sulla questione.

La decisione di primo grado, dunque, ha decretato una sorta di “effetto a sorpresa” indicativo della violazione dell’art. 112 c.p.c., riconoscendo alla ricorrente un’utilità richiesta, ma per ragioni non dedotte e rispetto alla quale è stato violato il diritto costituzionale di difesa delle controparti.

IV.5. – Il motivo, pertanto, è fondato, poiché l’inapplicabilità dell’art. 80 co.5 lett. m) c.p.a. dedotta per ragioni di incompatibilità rispetto ad una procedura ad oggetto plurimo non può ritenersi implicitamente evocativa anche dell’ulteriore causa di incompatibilità rilevata dal giudice di primo grado per ragioni, invece, dipendenti dalla natura attiva e non passiva del contratto in affidamento.

IV.6. – Con riguardo, poi, alle concrete ricadute processuali dell’accoglimento del predetto motivo, il Collegio osserva che la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato costituisce un tipico error in procedendo deducibile in appello sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c., ma non implica l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a., essendo soltanto un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello, nei limiti della domanda riproposta, è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa (cfr. ex plurimis, Cons. St., Ad. plen., 28 settembre 2018, n. 15).

Pertanto, occorre procedere all’esame degli ulteriori motivi di appello proposti.

V. – Con il quarto motivo dell’appello principale ed il quinto motivo dell’appello incidentale si lamenta l’erroneità della decisione impugnata poiché il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso della società appellata per carenza di interesse, non avendo quest’ultima contestato la seconda motivazione formulata a giustificazione del provvedimento di esclusione adottato.

Secondo gli appellanti, infatti, con il ricorso di primo grado si contesterebbe tanto l’applicabilità, quanto la concreta applicazione dell’art. 80 co. 5 lett. m) c.p.a. e non anche, come invece sarebbe stato doveroso, l’esclusione per elusione del limite del 33% di assegnazione dei lotti in affidamento che si tradurrebbe in una riscontrata violazione dell’art. 80 co.5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016 per condotta idonea ad influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante mediante informazioni omesse, false o fuorvianti in ordine alla sussistenza di un unico centro decisionale e che giustificherebbe, di per sé, l’esclusione dalla gara per tutti i lotti.

V.1. – Il Collegio osserva che, come noto, costituisce principio consolidato ritenere sufficiente, ai fini della verifica della legittimità del provvedimento amministrativo fondato su una pluralità di motivi autonomi, che almeno uno di essi risulti in grado di sorreggere per intero l'atto stesso; il che si verifica quando anche uno soltanto di essi non forma oggetto di specifica censura. Sussistendo detta evenienza, il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse, considerato che il provvedimento impugnato continuerebbe a produrre i suoi effetti perché mantenuto in vita dal motivo non contestato e da solo sufficiente a giustificare la determinazione in esso contenuta (Consiglio di Stato sez. II, 14 ottobre 2022, n.87784; Cons. Stato, Sez. III, 1.8.2022, n. 6751; Cons. Stato, Sez. V, 11.1.2022, n. 200; Cons. Stato, sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 12; 18 maggio 2012, n. 2894 e 27 aprile 2015, n. 2123; Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2015, n. 927).

Con riguardo al caso in esame, l’esclusione dell’appellata, come delle altre due società coinvolte, è stata decisa sia per il contrasto con l’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, sia per la strumentalità del rilevato coordinamento posto in essere “con l’esito di eludere gli effetti della soglia massima di assegnazione stabilita negli atti di gara, presentando le rispettive offerte distribuite sui lotti in gara in modo tale da vedersi così assegnata, nel complesso, la quasi totalità degli impianti equamente ripartiti” (provvedimento di esclusione, all. 1 del fascicolo della ricorrente in primo grado).

Ma la duplice motivazione dell’impugnato provvedimento di esclusione è contraddistinta da un collegamento teleologico, essendo le due cause tra loro connesse da un nesso di diretta consequenzialità.

L’esclusione per violazione del limite di assegnazione del 33% costituisce, infatti, non una causa autonoma, ma soltanto consequenziale rispetto alla presupposta sussistenza di un centro unico decisionale, con la conseguenza che, una volta esclusa la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, le offerte delle tre società dovrebbero considerarsi tra loro non connesse e, quindi, non elusive neanche del predetto limite di assegnazione dei lotti di interesse, con conseguente non configurabilità della causa di esclusione di cui all’art. 80 co. 5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016 per carenza di condotta fuorviante tendente ad ottenere indebiti vantaggi durante l’espletamento della procedura di gara.

Il Collegio, pertanto, non ritiene preclusiva dell’ammissibilità del ricorso proposto dall’appellata in primo grado la linea difensiva da quest’ultima prescelta volta a concentrare le proprie doglianze soltanto in relazione al coordinamento e non anche in ordine alla violazione del limite del 33% dell’assegnazione dei lotti di interesse.

Donde, l’infondatezza del motivo di impugnazione in esame.

VI. – Con il quinto motivo dell’appello principale si contesta la motivazione della sentenza appellata poiché il giudice di primo grado, dopo averne in un primo momento statuito la non applicabilità alla fattispecie in esame, ha poi affermato, in chiara contraddizione con quanto prima sostenuto, che, anche a voler diversamente ritenere, l’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 sarebbe applicabile ai lotti per i quali sarebbe stata presentata più di un’offerta da parte delle società interessate e, quindi, per tutti i lotti alla cui assegnazione ha concorso la -OMISSIS- s.r.l. e per molti lotti (cioè 93) per i quali ha partecipato la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A.

VI.1. – La doglianza è destituita di fondamento, poiché il giudice di primo grado ha inteso dichiarare l’illegittima applicazione dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 quale causa di esclusione delle società in questione dall’intera procedura di gara, limitandosi, poi, ad ipotizzare che, comunque, l’estromissione poteva, al più, giustificarsi per i lotti per i quali fossero state presentate più offerte riconducibili al medesimo centro decisionale, articolando, così, un mero obiter dictum non inficiante la linearità del ragionamento principale seguito.

La dichiarata incompatibilità dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 rispetto alle procedure di affidamento di contratti attivi esclude, pertanto, anche la dedotta perplessità in ordine all’effetto conformativo scaturente dalla sentenza di accoglimento impugnata, non essendo la motivazione del giudice di primo grado sul punto contraddittoria.

Il motivo, pertanto, è infondato.

VII. – Con il sesto motivo dell’appello principale si lamenta la violazione e o falsa applicazione dell’art. 6 del disciplinare di gara e dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 poiché: 1) in primo luogo, l’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 era richiamato nella sua interezza dall’art. 6 del disciplinare di gara e, quindi, l’adito T.a.r. non avrebbe potuto distinguere tra commi applicabili e non applicabili della medesima disposizione; 2) in secondo luogo, erronea sarebbe l’affermata incompatibilità dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 alle procedure di affidamento di contratti attivi articolati in lotti distinti.

Con il terzo ed il quarto motivo dell’appello incidentale si formulano censure analoghe alla seconda dedotta con il sesto motivo dell’appello principale.

La società appellata sostiene, invece, che i motivi siano destituiti di fondamento.

VII.1. – Con riguardo alla prima doglianza dedotta con il sesto motivo dell’appello principale, il Collegio rileva, in primo luogo, la necessità di individuare la disciplina in generale applicabile alla procedura di affidamento dei contratti pubblici in questione, costituendo il profilo di criticità primario da risolvere.

Il che presuppone la preventiva qualificazione della concessione degli spazi pubblicitari destinati all’affissione privata, quale concessione di beni o di servizi, precisandosi, anzitutto, che, secondo quanto ormai pacificamente affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, nel procedimento di qualificazione del contratto, il giudice di merito non è vincolato dal "nomen iuris" che ad esso hanno attribuito le parti, pur dovendo tenerne conto, ma deve ricercare ed interpretare la concreta volontà dei contraenti stessi, avuto riguardo all'effettivo contenuto del rapporto e facendo applicazione delle regole ermeneutiche dettate dagli artt. 1362 ss. c.c. (Cassazione civile sez. III, 20 novembre 2002, n.16342; Cass. nn. 6439 del 1988, 6610 del 1991, 10898 del 1992, 9944 del 2000, 3200 del 2001).

VII.1.1. – Con riguardo alla concessione di servizi pubblici, l’art.3 co.1 lett. vv) D.Lgs. n.50/2016 ne fornisce la definizione, qualificando la concessione di servizi come un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto ed in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi.

Come è agevole desumere, l’art.3 individua nella concessione un rapporto diverso rispetto al contratto di appalto, distinguendosi sotto il profilo non soltanto strutturale, ma anche e soprattutto funzionale.

La giurisprudenza, in passato, ha ricostruito la distinzione delle due figure in esame con riguardo alla struttura. Si soleva sostenere, infatti, che il contratto di appalto è un rapporto bilaterale e che la concessione è un rapporto trilaterale costituito dal concedente, dal concessionario e dall’utenza identificabile nei fruitori del servizio erogato dal concessionario di servizi o negli utilizzatori dell’opera nella concessione di opere. Il terzo entra nella struttura del rapporto perché il corrispettivo da costui pagato contribuisce, in misura di regola preponderante, a definire l’onerosità della concessione. La multilateralità del rapporto è una concezione costante della concessione nella giurisprudenza, come confermato anche dall’Ad. Plen. n. 13/2013 che identifica proprio nel rapporto trilatero la differenza tra appalto e concessione.

Ulteriore distinzione, particolarmente accentuata dagli influssi del diritto comunitario ed in particolare da una Comunicazione della Commissione Europea del 29 aprile 2000, figlia dell’esigenza di individuare una disciplina comune applicabile alle concessioni ed agli appalti, si coglie sul piano funzionale, rinvenendosi il profilo qualificante la concessione rispetto all’appalto, anche ed in particolar modo, nel c.d. “rischio operativo di gestione”. La causa del contratto di concessione è, infatti, il trasferimento sul concessionario del c.d. rischio operativo. Cioè il concessionario deve assumersi il rischio operativo che l’art.3 co.1 D.Lgs. n.50/2016 definisce alla lett. zz) quale rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell'offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico. Si ritiene che l’operatore economico assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali (per tali intendendosi l'insussistenza di eventi non prevedibili), non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita all’operatore economico deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dall’operatore economico non sia puramente nominale o trascurabile. È, dunque, importante precisare che il “rischio operativo” trasferito al concessionario deve essere un rischio effettivo, poiché influenza la disciplina del contratto di concessione e l’assetto degli interessi delle parti.

L’art.165 D.Lgs. n.50/2016, con riguardo alle concessioni di lavori o a quelle di servizi, richiama le nozioni di “rischio operativo” e di “equilibrio economico-finanziario nelle concessioni” che rappresenta il presupposto della corretta allocazione del rischio. In ogni concessione deve, infatti, essere previsto un piano economico finanziario che tenga conto della necessità di trasferire effettivamente il rischio in capo all’operatore economico concessionario, considerato che “la maggior parte dei ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita dei servizi resi al mercato”.

VII.1.2. – Sennonché, la concessione di spazi pubblicitari non soddisfa i requisiti della concessione di un servizio pubblico, poiché, anzitutto, il concessionario non assume alcun rischio operativo e non eroga alcun servizio.

L’oggetto del rapporto negoziale, infatti, non è l’erogazione di un servizio pubblico, non essendo costituito dall’erogazione di un servizio strumentale alle esigenze di gestione del Comune a fronte della non preordinazione della concessione al soddisfacimento di alcuna necessità derivante dall'Amministrazione.

Né alcun servizio pubblico viene reso all'utenza per il soddisfacimento di interessi generali o comunque per le finalità ritenute meritevoli di tutela e di cui l'Amministrazione abbia ritenuto di farsi carico e di erogare o comunque di gestire l'erogazione, non ricevendo i cittadini alcuna utilità implicante l’obbligo di pagamento di un corrispettivo.

Piuttosto la finalità della concessione è il miglior utilizzo di un bene pubblico (lo spazio pubblicitario), al fine di ricavarne la maggiore valorizzazione possibile in termini anche finanziari, con il vincolo, derivante dall'oggetto della concessione di beni, di utilizzare lo spazio per fini pubblicitari.

In tale contesto le società concessionarie svolgono l'attività pubblicitaria a vantaggio di terzi erogando una prestazione tipicamente oggetto di un mercato concorrenziale e rispetto alla quale l'Ente pubblico si limita a offrire uno spazio ulteriore per la relativa erogazione.

È pur vero che l’art. 15.2.1. (Dichiarazioni integrative) co.3 del disciplinare di gara prevede alla lett. b) l’obbligo per il concorrente di dichiarare remunerativa l’offerta economica presentata, preso atto e tenuto conto “di tutte le circostanze generali, particolari e locali, nessuna esclusa ed eccettuata, che possono avere influito o influire sia sulla prestazione dei servizi, sia sulla determinazione della propria offerta”. Ma è, del pari, vero che nell'offerta economica non è previsto alcun vincolo relativo al "servizio" da rendere, limitandosi a contenere indicazioni sul rialzo presentato e sui costi del personale e della sicurezza aziendale (disciplinare di gara, art. 16 lett. abc).

Inoltre, la lex specialis non richiede la presentazione di un'offerta tecnica, né l'indicazione, nell'offerta economica, di elementi ulteriori rispetto al rialzo presentato, se non i costi del personale e della sicurezza aziendale. Il criterio di aggiudicazione è, poi, quello del maggior rialzo (art. 17 disciplinare di gara), né sono indicate modalità di espletamento dell'attività pubblicitaria, laddove connotato tipico della concessione di servizi è rappresentato dall'indicazione del "modo migliore per gestire [...] la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza ed accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utenza nei servizi pubblici" (art. 166 del d. lgs. n. 50 del 2016). Se, infatti, oggetto della concessione fosse stato un servizio pubblico l'Amministrazione avrebbe, invece, dovuto preoccuparsi delle modalità attraverso le quali soddisfare l'esigenza collettiva attraverso la previsione di canoni e criteri di svolgimento dell'attività.

In altri termini, l'attività che viene compiuta negli spazi pubblicitari non è, in quanto tale, un'attività dell'Amministrazione (nel senso che essa non compie attività pubblicitaria, né la organizza, limitandosi a fornire alcuni degli spazi ad essa dedicati), e, pertanto, non domina l'aspetto della concessione di servizi, nella quale il godimento del bene è solo uno degli elementi del contratto di servizio (Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 16 marzo 2022, n.306).

Nel caso di specie il godimento del bene, e i vincoli che questo comporta, costituisce proprio l'oggetto principale del contratto.

Quanto affermato, ed in particolare la qualificazione della concessione di spazi pubblicitari come concessione di bene pubblico, è in linea con quanto statuito dall'Adunanza plenaria sul punto, secondo cui la «concessione tramite gara dell'uso di beni pubblici per l'esercizio di attività economiche private è istituto previsto nell'ordinamento, essendo perciò fondata la qualificazione della gara come strumento per assicurare il principio costituzionale della libera iniziativa economica anche nell'accesso al mercato degli spazi per la pubblicità (Cons. Stato, V, n. 529 del 2009, cit; cfr. anche VI, 9 febbraio 2011, n. 894). Quanto sopra è peraltro coerente con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza; questo Consiglio ha infatti chiarito da tempo che, sul presupposto per cui con la concessione di un'area pubblica si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie), si impone di conseguenza una procedura competitiva per il rilascio della concessione, necessaria per l'osservanza dei ricordati principi a presidio e tutela di quello, fondamentale, della piena concorrenza» (Ad. plen. 25 febbraio 2013 n. 5).

VII.1.3. – Non può, dunque, ritenersi che i contratti in questione costituiscano concessioni di servizi, e neanche contratti di locazione.

Sul punto occorre, infatti, precisare che, secondo quanto da tempo chiarito dalla giurisprudenza, per stabilire se si sia in presenza di concessione di bene pubblico ovvero di atto paritetico riconducibile alla locazione, non è sufficiente che l'Amministrazione Pubblica abbia concesso in godimento il bene al privato, ma è necessario indagare la natura del bene stesso, per cui solo se il bene appartiene al novero dei beni demaniali è possibile qualificare il provvedimento come concessione demaniale, e non è possibile invece qualora appartenga al patrimonio disponibile dell'amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 2021, Cons. Stato, sez. V, n.4216; 8 luglio 2019, n. 4783; Cass., Sez. Un., 25 marzo 2016, n. 6019).

Nella fattispecie è incontroverso che gli impianti in affidamento siano di proprietà del Comune di Genova, in quanto ricadenti sul territorio comunale ed includono anche la relativa area di installazione, ossia il suolo sul quale insistono. Di conseguenza, il coinvolgimento del suolo demaniale sul quale sono ubicati gli impianti comprova e giustifica la qualificazione dei contratti in affidamento come concessioni di beni pubblici.

Peraltro, occorre considerare, ai fini della qualificazione dei contratti in questione quali concessioni di beni pubblici, che la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane, che qui interessa, è vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili all'interno del territorio comunale. Ciò motiva la statuizione di cui all'art. 3, comma 3, del citato d.lgs. n. 507 del 1993, secondo cui ciascun Comune "deve" determinare, oltre alla tipologia, anche "la quantità" degli impianti pubblicitari e approvare un "piano generale degli impianti", con la delimitazione della superficie espositiva massima dei diversi tipi di impianti (nella prassi ripartita tra le zone del territorio urbano), definendosi con ciò un mercato contingentato.

La normativa sulla installazione degli impianti è, dunque, indicativa del presupposto, necessitato e condizionante, del contingentamento dell'attività in questione poiché comportante l'uso di una risorsa pubblica scarsa qual è il suolo pubblico.

Si configura con ciò un rapporto tra l'ente locale e il privato il cui modello di riferimento, alla luce della sua qualificazione sostanziale, è quello concessorio «atteso che è giustappunto una concessione di area pubblica il provvedimento iniziale che conforma il rapporto» (Cons. Stato, n. 529 del 2009 citata), potendo disciplinare il regolamento comunale anche "le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione" (art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993).

VII.1.4. – Può, dunque, concludersi nel senso che la procedura del cui esito si discute ha per oggetto l’affidamento di concessioni di beni demaniali e non di servizi.

Trattandosi, dunque, di contratti attivi, si applicano, ai sensi dell'art. 4 del d. lgs. n. 50 del 2016, i soli principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica e, di conseguenza, le norme del D.Lgs. n. 50/2016 che ne costituiscono proiezione applicativa, come, ad esempio, le clausole di esclusione di cui all’art. 80, in quanto preordinate a garantire la scelta del miglior contraente possibile, nel rispetto della par condicio.

Pertanto, la disciplina contemplata dalla disposizione in esame era applicabile alla procedura in questione.

VII.1.5. – In ogni caso, occorre osservare che, nella fattispecie, il Comune di Genova, con espressa chiarezza e nell’esercizio della propria discrezionalità, ha scelto, con l’art. 6 del disciplinare di gara, di rendere applicabile, fugando ogni dubbio, alla procedura di affidamento delle concessioni in questione l’art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016, richiamandone tutte le cause di esclusione previste.

Il giudice di primo grado ha ritenuto l’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 incompatibile con le procedure di affidamento dei contratti attivi contraddistinte dalla presenza di più lotti.

Il Collegio, anzitutto, osserva che la censura è stata tardivamente proposta dalla società appellata, dovendo essere formulata con la diretta impugnazione della lex specialis a fronte della immediata lesività dell’art. 6 del disciplinare di gara in ragione della sua portata escludente, come già precisato al punto III.1.2.

In ogni caso, il motivo di appello proposto è fondato poiché la lex specialis di una procedura costituisce un vincolo da cui l'Amministrazione non può sottrarsi, costituendo atto amministrativo a garanzia dei principi di cui all'art. 97 Cost. (ex multis, Cons. Stato, V, 29 settembre 2015, n. 4441; III, 20 aprile 2015, n. 1993; VI, 15 dicembre 2014, n. 6154). Le prescrizioni stabilite in una lex specialis, infatti, impegnano non soltanto i privati interessati, ma, ancora prima, la stessa Amministrazione che non conserva margini di discrezionalità nella loro concreta attuazione, né può disapplicarle, neppure quando alcune di esse risultino inopportune o incongrue o comunque superate, fatta salva naturalmente la possibilità di procedere all'annullamento del bando nell'esercizio del potere di autotutela (Cons. Stato, Sez. V, 17 febbraio 2022, n. 1196; Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1604; 13 settembre 2016, n. 3859; 28 aprile 2014, n. 2201; 30 settembre 2010, n. 7217; 22 marzo 2010, n. 1652; Ad. plen., 25 aprile 2014, n. 9).

La ragione della non disapplicazione delle clausole e delle regole contemplate dalla lex specialis tanto per la P.A., quanto per il giudice, anche in contrasto con le previsioni dell'ordinamento giuridico eurounitario, salvo naturalmente l'esercizio del potere di autotutela (Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 maggio 2019, n. 2991; Consiglio di Stato, Sez. V, 14 dicembre 2018, n. 7057; Consiglio di Stato, Sez. V, 22 novembre 2017, n. 5428; Consiglio di Stato sez. V, 22/03/2016, n.1173; Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 settembre 2015, n. 4302) è rinvenibile nell’esigenza di prevenire il rischio di elusione del termine di decadenza, di cui all'art. 29 del c.p.a.

Il bando della procedura de qua, infatti, non ha valenza regolamentare ma integra l'ipotesi di atto generale, e da tale qualificazione va fatta discendere la conseguenza che, a prescindere dal tipo di illegittimità (nazionale o comunitaria), il bando non può essere mai disapplicato, sussistendo nei suoi confronti esclusivamente l'onere di diretta impugnazione quando arrechi un'immediata lesione, per i contenuti concernenti i requisiti di partecipazione, tali da precludere ex ante la proposizione, con esito favorevole, della domanda di ammissione.

Invero, il bando, a differenza dei regolamenti per i quali è possibile la disapplicazione in virtù del principio di gerarchia delle fonti normative, non è un atto a valenza normativa, essendo soltanto un atto amministrativo generale e, pertanto, al Giudice Amministrativo non è riconosciuto il potere di disapplicarlo (Consiglio di Stato, sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4699; Consiglio di Stato, sez. IV, 22 settembre 2005, n. 5005).

VII.1.6. – Considerato, dunque, che l’Ente aggiudicatore ha, nella circostanza, ritenuto di autovincolarsi al rispetto della disciplina di cui all’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 integralmente richiamandola nel disciplinare di gara e che, sul punto, nessun ripensamento è stato manifestato nelle forme dell’autotutela, non essendo stata adottata alcuna determinazione volta a rettificare la decisione precedentemente assunta in ordine alle regole applicabili alla procedura per quanto in questa sede di interesse, il giudice di primo grado non poteva dichiarare l’incompatibilità dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 con la procedura di affidamento delle concessioni demaniali in questione, così determinando, in assenza di una tempestiva impugnazione, una non consentita disapplicazione dell’art. 6 del disciplinare di gara.

Pertanto, la doglianza è fondata.

VII.2. – Con la seconda doglianza del sesto motivo dell’appello principale e con il quarto motivo dell’appello incidentale si lamenta l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha affermato l’incompatibilità dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 rispetto alle procedure di affidamento di contratti attivi articolati in lotti distinti.

VII.2.1. – Il Collegio, ferma restando la tardività della censura dedotta dalla società appellata in relazione all’art. 6 del disciplinare di gara come già precisato al punto III.1.2., osserva che la questione debba essere esaminata in relazione a due distinti profili, dovendosi, infatti, procedere all’esame della compatibilità dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, dapprima, con riguardo alle procedure di affidamento dei contratti attivi e, poi, in relazione alle procedure di gara contraddistinte da più lotti autonomi.

VII.2.2. – Con riguardo al primo profilo, occorre precisare che, secondo quanto chiarito dal Consiglio di Stato, la ratio dell’esclusione prevista dall'articolo 80, comma 5, lettera m) del Decreto legislativo n. 50 del 2016 e, prima ancora, dall'articolo 38, comma 1, lettera m-quater) del Decreto legislativo n. 163 e 2006, deve rinvenirsi nell'esigenza di scongiurare il rischio di compromettere i principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i concorrenti (Consiglio di Stato sez. V, 08/03/2019, n.1605; Cons. Stato, VI, 17 gennaio 2017, n. 169; Cons. Stato, VI, 8 maggio 2012, n. 2657).

Ed invero, «la norma contenuta nell'art. 38, comma l, lett. m-quater) d.lgs. 163/2006, come si evince dal chiaro tenore letterale, estende le ipotesi di esclusione oltre il campo di applicazione dell'art. 2359 c.c. e delinea una fattispecie di collegamento sostanziale che la giurisprudenza ha accolto (già nel vigore del Codice dei contratti del 2006, confermandolo anche con riferimento al Codice dei contratti del 2016, per tale ultimo riferimento cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 12 gennaio 2021 n. 393), sottolineando come tale estensione trovi una propria giustificazione nell'esigenza di evitare il rischio d'una "vanificazione dei principi generali in tema di par condicio, segretezza delle offerte e trasparenza della competizione. In tal modo si tende ad evitare che il corretto e trasparente svolgimento delle gare di appalto ed il libero gioco della concorrenza possano essere irrimediabilmente alterati dalla eventuale presentazione di offerte che, pur provenendo formalmente da due o più imprese, siano tuttavia riconducibili ad un unico centro di interesse: la ratio di tale previsione è quella di evitare il rischio di ammissione alla gara di offerte provenienti da soggetti che, in quanto legati da stretta comunanza di interesse caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti, proprio per tale situazione, capaci di formulare offerte caratterizzate dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità, coerentemente quindi ai principi di imparzialità e buon andamento cui deve ispirarsi l'attività della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 97 della Costituzione" (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. V, 18 luglio 2012 n. 4189)» (Consiglio di Stato, Sez. VI, 31/08/2021, n.6119).

Come noto, i principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i concorrenti operano in relazione alle procedure di affidamento tanto dei contratti passivi, quanto dei contratti attivi. L’attitudine, infatti, del contratto in affidamento di garantire all’Ente aggiudicatore un’entrata economica non può, di per sé, giustificare una deroga ai richiamati principi, in quanto parametri di riferimento propri di tutte le procedure selettive di tipo competitivo tendenti a salvaguardare anche l’imparzialità ed il buon andamento della Pubblica Amministrazione.

Né, peraltro, può escludersi qualsivoglia effetto distorsivo sull’esito della gara in caso di più offerte al rialzo provenienti da società riconducibili ad un unico centro decisionale, poiché i possibili vantaggi di una strategia siffatta possono cogliersi, sul piano procedimentale, sotto diversi profili.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui una delle offerte del gruppo sia esclusa per qualsivoglia motivo, senza pregiudizio per le altre offerte delle società collegate, con conseguente persistente competitività del gruppo societario nell’ambito della procedura in ragione della dell’operato delle altre società non ancora escluse.

Si pensi, oppure, all’eventualità in cui il migliore offerente ritenga economicamente più conveniente ritirare la propria offerta o farsi escludere per qualsivoglia ragione (come, ad esempio, non rispondendo ad una richiesta di soccorso istruttorio), favorendo l’offerta (meno alta) delle altre società riconducibili al medesimo gruppo societario, con conseguente nocumento economico per l’Ente aggiudicatore che perderà l’offerta migliore in ragione di una dinamica societaria celata dalle società interessate partecipanti alla gara.

Si pensi, ancora, ai possibili riflessi sul computo della soglia di anomalia, potenzialmente rilevante anche nelle procedure di affidamento dei contratti attivi. Secondo quanto, infatti, chiarito dal Consiglio di Stato, «La verifica di non anomalia, prevista nei contratti passivi (che comportano l'acquisto di una prestazione) ha la chiara finalità di garantire la qualità e la regolarità delle prestazioni oggetto di affidamento. Nei contratti attivi siffatta esigenza non sussiste, trattandosi di rapporti negoziali dai quali l'amministrazione ricava un’entrata senza chiedere al partner contrattuale specifiche prestazioni. Il richiamo dell'art. 97 del D. L.vo 50/2016 dev'essere dunque inteso, compatibilmente con la natura del contratto stipulando, come verifica della capacità solutoria del debitore rispetto alle obbligazioni pecuniarie assunte, avuto riguardo alla capacità del medesimo di produrre reddito d'impresa» (Consiglio di Stato sez. III, 14/02/2022, n.1071).

Il sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, infatti, è preordinato ad accertare la capacità dell’operatore economico di garantire l’esecuzione della prestazione offerta e, pertanto, l’esigenza di procedere a siffatto accertamento può prospettarsi per l’Ente aggiudicatore tanto in relazione ai contratti passivi, in cui le prestazioni promesse dall’aggiudicatario sono di dare o di fare, quanto in relazione ai contratti attivi, in cui l’aggiudicatario assume un’obbligazione pecuniaria che deve essere in grado di poter eseguire, in entrambi i casi sussistendo l’interesse pubblico a non stipulare alcun contratto con un contraente privo dei necessari requisiti tecnico-professionali ed economico-finanziari richiesti (nei contratti passivi) oppure insolvente, ossia privo di capacità economica (nei contratti attivi).

In quanto, dunque, preordinato ad accertare la serietà e sostenibilità economica dell’offerta, il sub-procedimento di anomalia di cui all’art. 97 D.Lgs. n. 50/2016 non costituisce, a dispetto del nomen iuris caratterizzante la relativa rubrica (“Offerte anormalmente basse”), una prerogativa esclusiva delle procedure di affidamento dei contratti passivi, procedimentalizzando, infatti, una fase delle trattative contrattuali che, sul piano civilistico, richiama i doveri di buona fede di cui all’art. 1337 c.c. e che rende esigibile una condotta collaborativa dell’offerente preordinata a comprovare all’Ente aggiudicatore la propria capacità di eseguire la prestazione promessa.

La partecipazione di più società collegate nell’ambito di una procedura di gara può, quindi, essere concertata in modo tale da determinare l’innalzamento della soglia di anomalia al punto da coinvolgere un cospicuo numero di operatori economici concorrenti e non anche l’offerta di una delle società del gruppo che, all’esito del sub-procedimento di cui all’art. 97 D.Lgs. n. 50/2016, potrebbe anche essere favorita dall’esclusione dei concorrenti che la precedono in graduatoria, pur non avendo formulato la migliore offerta al rialzo del canone a base d’asta previsto per l’affidamento del contratto attivo.

Nella fattispecie, l’imputabilità di più offerte al rialzo a società costituenti un centro unico decisionale era, peraltro, proibita anche in ragione del divieto di offerte plurime espressamente previsto, a pena di esclusione, dall’art. 19 del disciplinare di gara, concorrendo le società collegate nella prospettiva di favorire l’interesse di gruppo in spregio all’esigenza di assicurare il rispetto della regola statuente l’obbligo di unicità dell’offerta per ogni singolo lotto.

VII.2.3. – Ferma, dunque, la compatibilità della disciplina di cui all’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 con riguardo alle procedure di affidamento dei contratti attivi, occorre, adesso, soffermarsi sul secondo profilo di interesse in questa sede, ossia quello concernente la possibile applicazione in relazione alle procedure contraddistinte da una molteplicità di lotti.

Il Collegio osserva che, per consolidato intendimento, in caso di suddivisione della gara in lotti funzionali (art. 51, comma 1 d. lgs. cit.) la regola di cui all'art. 80, comma 5, lett. m) del D.Lgs. n. 50/2016 non trova applicazione nell'ipotesi in cui le offerte presentate dalle imprese si riferiscano a lotti diversi: un bando di gara pubblica, suddiviso in lotti, costituisce, infatti, un atto ad oggetto plurimo e determina l'indizione non di un'unica gara, ma di tante gare, per ognuna delle quali vi è formalmente un'autonoma procedura che si conclude con un'aggiudicazione (cfr. ancora Cons. Stato, n. 2350/2021 cit., nonché Id., sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1070 e già Id., 12 gennaio 2017, n. 52 e Id., 2 maggio 2017, n. 1985).

Siffatto indirizzo non può che ribadirsi anche in questa sede, dovendosi, tuttavia, coordinare con l’eventuale previsione da parte dell’Ente aggiudicatore di un limite al numero dei lotti suscettibili di assegnazione ad un medesimo operatore, occorrendo verificare se, in questi casi, possa avere rilevanza la riconducibilità ad un unico centro decisionale delle offerte presentate da più operatori per lotti distinti.

Al riguardo occorre, anzitutto, chiarire che la ratio dell'imposizione del limite di aggiudicazione dei lotti è rinvenibile nell’esigenza di favorire la massima partecipazione possibile da parte delle piccole e medie imprese, al punto da costituire senz'altro uno strumento pro-concorrenziale, conforme alle previsioni dell'art. 51, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, rimesso alla scelta discrezionale dell’Ente aggiudicatore (cfr. Cons. Stato, III, 18 gennaio 2021, n. 518).

Ed invero, la logica che sorregge – in un contesto evidenziale programmaticamente strutturato, ai sensi del comma 1 dell'art. 51 del d. lgs. cit., dalla (mera) suddivisione dell'appalto in lotti (funzionali o prestazionali) – l'opzione (distinta, autonoma ed ulteriore) per una limitazione quantitativa del numero dei lotti che possono essere aggiudicati a ciascun offerente esibisce una sua concreta specificità, che qualifica e connota il (generico) obiettivo del favor per l'apertura competitiva al mercato (essenzialmente a salvaguardia delle imprese minime, piccole e medie) nel senso di una (più rigorosa ed incisiva) limitazione a forme di concentrazione, accaparramento e acquisizione centralizzata delle commesse pubbliche.

Concentrando l’esame sui rapporti tra l’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 e l’imposizione di un limite al numero dei lotti suscettibili di assegnazione ad un unico operatore economico offerente, occorre precisare che la giurisprudenza ha assunto, sulla specifica questione, un orientamento restrittivo, di impronta formalistica (Cons. Stato, sez. V, 2 maggio 2017, n. 1973, cui si sono adeguate Id., sez. V, 12 febbraio 2020, nn. 1070 e 1071) contraria alla congiunta operatività delle due regole, poiché:

a) il c.d. vincolo di aggiudicazione trae fondamento normativo dalla previsione dell'art. 51, comma 3 del D.Lgs. n. 50/2016, che, in caso di suddivisione dell'appalto in lotti funzionali, abilita le stazioni appaltanti – al di là dalla facoltà di presentare offerta per alcuni o per tutti i lotti – a "limitare il numero di lotti che possono essere aggiudicati a un solo offerente";

b) sul piano strettamente letterale, il richiamo alla figura soggettiva dell'"offerente" dovrebbe essere acquisito con riferimento al singolo "operatore economico" (art. 3, comma 1 lett. cc), sicché non potrebbe – immediatamente – richiamare le situazioni di "sostanziale identità soggettiva dal punto di vista economico e patrimoniale" derivanti da forme di collegamento e/o cointeressenza, ancorate ad un’unitarietà di centri decisionali, né potrebbe essere riferito alle mere situazioni di trasparente controllo societario;

c) un’interpretazione estensiva postulerebbe la valorizzazione di un’analogia di situazioni, che sarebbe nondimeno preclusa: c1) sul piano formale, dal carattere per definizione eccezionale delle regole limitative dell'accesso concorrenziale, in quanto operanti in deroga alla libertà di impresa; c2) sul piano sostanziale, dalla insussistenza di una identità di ratio (che – secondo il Cons. Stato n. 1973/2017 – sarebbe ancorata al disincentivo alla contemporanea assunzione, da parte di una medesima organizzazione aziendale, di una pluralità di prestazioni in diverso ambito territoriale, con conseguente sovraccarico in fase esecutiva).

Sennonché, il Consiglio di Stato (Sez. V, 27 settembre 2021, n.6481) ha, di recente, rivisitato la richiamata tesi formalistica restrittiva, ritenendo possibile – nel caso in cui sia limitato il numero di lotti che possono essere aggiudicati ad un solo offerente (art. 51, comma 3) – considerare come unitarie le offerte presentate per lotti non identici (posto che opererebbe l'art. 80, comma 5 lett. m) ma distinti da parte di più operatori economici imputabili ad un unico centro decisionale, in quanto ascrivibili ad un "solo offerente" sostanziale, sembrando corretto riferire il limite, estensivamente, anche agli operatori economici sostanzialmente riconducibili ad un unitario centro decisionale o ad una organizzazione economica operante, a guisa di grande player di mercato, in forma di holding, purché: a) l’Ente aggiudicatore, nell'esercizio della propria discrezionalità, non abbia ritenuto di precludere, per ragioni di programmatica segmentazione distributiva, siffatta facoltà (art. 51, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016); b) la condotta delle società concorrenti non si traduca in modalità di partecipazione collusive o propriamente abusive, in quanto preordinate ad eludere il divieto di accaparramento sancito dall’Ente aggiudicatore ai sensi dell’art. 51 co.3 D.Lgs. n. 50/2016, configurandosi, in siffatte ipotesi, cause di esclusione come illeciti anticoncorrenziali ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) d. lgs. n. 50/2016.

Il richiamato indirizzo è condiviso dal Collegio, non potendosi ammettere conseguenze disciplinari di natura premiale a condotte tendenti ad ottenere indebiti vantaggi nei confronti degli altri concorrenti in violazione delle regole preposte a tutela della par condicio nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

Ed invero, l’omessa dichiarazione della sussistenza di rapporti societari idonei ad integrare la fattispecie di cui all’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 seguita dalla presentazione di offerte “a scacchiera” per più lotti tendente ad eludere il limite di assegnazione stabilito dall’Ente aggiudicatore ai sensi dell’art. 51 co.3 D.Lgs. n. 50/2016, costituisce condotta delle società interessate rientrante nell’ambito di operatività della causa di esclusione di cui all’art. 80 co. 5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016, in quanto tendente ad influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante a proprio vantaggio, potendo, financo, la fattispecie configurarsi a fronte di informazioni false o fuorvianti, quand’anche fornite per negligenza, suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione, ovvero, più in generale, in caso di omesse informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

Quando, dunque, più società integranti un centro unico decisionale concorrono ad una gara contraddistinta da più lotti con l’intento di eludere, mediante la presentazione di più offerte “a scacchiera”, l’eventuale limite imposto dall’Ente aggiudicatore al numero di lotti suscettibili di aggiudicazione ad un unico operatore ai sensi dell’art. 51 co.3 D.Lgs. n. 50/2016, l’esclusione dalla procedura delle predette società rinviene il suo fondamento non nella violazione della disposizione pro-concorrenziale da ultimo citata, ma nell’art. 80 co.5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016, costituente una clausola generale di tipo espulsivo idonea a ricomprendere tanto condotte atipiche, ossia non riconducibili nell’ambito di applicazione delle altre cause di esclusione previste dalla medesima disposizione nel suo complesso considerata, quanto condotte tipiche di per sé non giustificanti l’estromissione dalla procedura selettiva, come nel caso in esame.

Ed invero, se la presentazione di più offerte per l’aggiudicazione di un medesimo lotto da parte delle società avvinte da rapporti indicativi della sussistenza di un unitario centro decisionale è di per sé sufficiente a giustificare l’esclusione dalla gara, lo stesso non può dirsi allorché le società concorrano per l’aggiudicazione di lotti diversi, potendo rilevare la presentazione di offerte “a scacchiera” ai fini dell’esclusione nell’ottica elusiva del limite sancito dall’Ente aggiudicatore al numero di lotti suscettibili di aggiudicazione, in quanto condotta tendente ad influenzare indebitamente l’esito della procedura.

La ragione dell’esclusione, dunque, si rinviene, in quest’ultima ipotesi, nell’art. 80 co. 5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016, ed ossia in una fattispecie complessa in cui concorrono elementi oggettivi e soggettivi, rilevando, sul piano oggettivo, l’idoneità della condotta o dell’informazione falsa, fuorviante od omessa, ad influenzare le decisioni dell’Ente aggiudicatore sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione e, sul piano soggettivo, il dolo specifico dell’operatore economico tendente ad ottenere un indebito vantaggio o anche soltanto la colpa, essendo sufficiente la mera negligenza nel fornire od omettere informazioni idonee ad indurre in errore l’Ente aggiudicatore, pregiudicando il corretto svolgimento della procedura selettiva.

Nel caso in esame, pertanto, l’accertata sussistenza di un centro unico decisionale di cui all’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 con riguardo alla presentazione di offerte distinte per lotti diversi e non identici costituisce soltanto un elemento integrativo della più complessa fattispecie di cui all’art. 80 co. 5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016, concorrendo anche l’idoneità dell’omessa o fuorviante informazione resa ad incidere sul corretto svolgimento della procedura nella prospettiva di eludere il limite di aggiudicazione previsto dall’art. 3.2. del disciplinare di gara.

Può, dunque, ritenersi che la suddivisione in più lotti pregiudica l’attitudine dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 a giustificare di per sé il provvedimento espulsivo ma non anche la sua possibile rilevanza al concorrere di ulteriori elementi idonei ad integrare una diversa causa di esclusione, potendo, come nella circostanza, l’accertata sussistenza di un centro unico decisionale assurgere ad elemento costitutivo della differente fattispecie contemplata dall’art. 80 co. 5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016.

In conclusione, occorre precisare che nell’impugnato provvedimento di esclusione il riferimento all’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 deve intendersi nella duplice prospettiva di norma giustificativa l’esclusione delle offerte presentate dalle società interessate per i medesimi lotti e di fattispecie concorrente ad integrare l’ipotesi contemplata dall’art. 80 co. 5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016 in relazione alle offerte presentate per lotti differenti nell’ottica di eludere il limite di aggiudicazione di cui all’art. 3.2. del disciplinare di gara.

Sul punto, peraltro, non rileva che il Comune non abbia espressamente richiamato anche la fattispecie di cui all’art. 80 co. 5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016, poiché appare in tal senso chiaramente indicativo il passaggio della motivazione dell’impugnato provvedimento di esclusione dedicato al rilevato intento delle tre società in questione di “eludere gli effetti della soglia massima di assegnazione stabilita negli atti di gara, presentando le rispettive offerte distribuite sui lotti in gara in modo tale da vedersi così assegnata, nel complesso, la quasi totalità degli impianti equamente ripartiti”.

In tal senso, la doglianza dell’appellante principale e dell’appellante incidentale è fondata.

VIII. – Con il settimo motivo dell’appello principale si lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui non ha sancito la rilevanza del collegamento esistente tra le società escluse in quanto indicativo di un centro unico decisionale sanzionabile con l’esclusione dall’intera procedura.

La società appellata contesta il dedotto motivo, poiché la dichiarata inapplicabilità in sentenza dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 rendeva del tutto superfluo qualsivoglia approfondimento sull’esistenza o meno di un centro unico decisionale.

VIII.1. – Il Collegio osserva che il motivo deve essere esaminato nel merito in ragione dell’accertata rilevanza della fattispecie di cui all’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 quale causa di esclusione delle offerte presentate dalle società interessate per i medesimi lotti ed elemento integrante la differente causa di esclusione di cui all’art. 80 co. 5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016 in relazione alle offerte “a scacchiera” presentate per lotti differenti.

VIII.1.1. – Secondo quanto previsto dall’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, le stazioni appaltanti escludono l'operatore economico che si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale.

VIII.1.1.1. – La richiamata disposizione riproduce la formulazione dell'art. 38, comma 1, lett. m-quater) d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, introdotta dal legislatore nazionale (con l’articolo 3, comma 1 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166) al fine di conformarsi ai rilievi sollevati dalla Corte di Giustizia, Sez. IV, con la sentenza del 19 maggio 2009 pronunciata nella causa C-538/07.

Come noto, la Corte aveva stigmatizzato la previsione di cui all'articolo 10, comma 1-bis della l. 11 febbraio 1994, n. 109, censurando il divieto di sostanziale partecipazione contestuale da parte di imprese per le quali sussistesse un rapporto di controllo o di collegamento ai sensi dell'articolo 2359 cod. civ., senza lasciare alle imprese coinvolte la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell'ambito di tale gara.

Di analogo tenore era anche l’art. 34, ultimo comma, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, che, infatti, non consentiva agli operatori economici interessati alcuna prova liberatoria, prevedendo che: “Non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile. Le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi”.

Dopo di che, è intervenuto il legislatore con il menzionato articolo 3, comma 1 e 3 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, abrogando l’art. 34 ultimo comma del D.Lgs. n. 163/2006 ed introducendo all’art. 38 co.1 del medesimo D.Lgs. n. 163/2006 la disciplina di cui alla lett. m-quater), poi, confluita nell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016.

Donde, l’esclusione, sin dall’introduzione dell’art. 38 co.1 lett. m-quater) D.Lgs. n. 163/2006 (che declina in modo corretto le statuizioni rese dalla Corte di Giustizia, Sez. IV, con la sentenza pronunciata il 19 maggio 2009 nella causa C-538/07), dell’originario regime di automatismo espulsivo, essendo possibile l'esclusione dalla gara soltanto laddove sussistano in atti elementi concreti che testimonino l’esistenza di un unico centro di imputazione di interessi, con quanto ne consegue in termini di compromissione della par condicio concorrenziale e della necessaria segretezza delle offerte (Consiglio di Stato sez. V, 6 febbraio 2017, n.496).

VIII.1.1.2. – Sul piano probatorio, il Consiglio di Stato (sez. VII, 9458/2022 che richiama Sez. V, 30 giugno 2022, n. 5438) ha delineato un chiaro indirizzo in relazione agli indici rivelatori del collegamento sostanziale tra imprese rilevante ai fini dell'imputabilità ad un unico centro decisionale delle offerte presentate in una procedura ad evidenza pubblica ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. m), del d.lgs. n. 50/2016, precisando, anzitutto, che l’art. 2359 c.c. integra una forma di presunzione iuris tantum di collegamento tra ditte partecipanti, mentre l'ipotesi di collegamento sostanziale va, di volta in volta, desunta dalla presenza di elementi plurimi, precisi e concordanti, idonei a sorreggere in via inferenziale la valutazione in fatto circa la sussistenza in concreto di un tale collegamento distorsivo delle regole di gara tra imprese partecipanti alla gara (Cons. di Stato n. 1091 del 2013); tali plurimi elementi possono essere, a titolo esemplificativo, costituiti, oltre che da intrecci personali tra gli assetti societari delle imprese (come nel caso di comunanza o intreccio parentale tra organi rappresentativi o tra soci o direttori tecnici), anche dalla contiguità di sede, dalla predisposizione di buste identiche contenenti offerte, da documenti redatti in modo identico, da identiche modalità formali di redazione delle offerte, da strette relazioni temporali e locali nelle modalità di spedizione dei plichi, da significative vicinanze cronologiche tra attestati SOA o tra le polizze assicurative a garanzie delle offerte, da fideiussioni rilasciate dalla medesima banca e autenticate con numero progressivo dallo stesso notaio, nonché dalla spedizione con lo stesso corriere (Cons. Stato n. 2657 del 2012; (Cons. Stato n. 3057 del 2017; Cons. Stato n. 496 del 2017; Cons. Stato n. 496 del 2017).

Secondo l'indirizzo prevalente, ampiamente condiviso, grava sull’Ente aggiudicatore – e, a fortiori, su chi ne allega l'esistenza in sede di giudizio – l'onere di provare in concreto l'esistenza di tali elementi oggettivi concordanti, tali da ingenerare il pericolo per i principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio dei concorrenti (Cons. Stato n. 4189 del 2012).

A tal fine, è stato delineato il percorso istruttorio che l’Ente aggiudicatore deve seguire per la verifica dell’esistenza di un unico centro decisionale, ed ossia: «a) la verifica della sussistenza di situazione di controllo sostanziale ai sensi dell'art. 2359 Cod. civ.; b) esclusa tale forma di controllo, la verifica dell'esistenza di una relazione tra le imprese, anche di fatto, che possa in astratto aprire la strada ad un reciproco condizionamento nella formulazione delle offerte; c) ove tale relazione sia accertata, la verifica dell'esistenza di un "unico centro decisionale" da effettuare ab externo e cioè sulla base di elementi strutturali o funzionali ricavati dagli assetti societari e personali delle società, ovvero, ove per tale via non si pervenga a conclusione positiva, mediante un attento esame del contenuto delle offerte dal quale si possa evincere l'esistenza dell'unicità soggettiva sostanziale» (Cons. Stato, VI, 31/08/2021, n.6119; Cons. Stato, III, 7 marzo 2019, n. 1577; Cons. Stato, V, 3 gennaio 2019 n. 69; Cons. Stato, V, 10 gennaio 2017, n. 39).

La sussistenza, dunque, di una posizione di controllo societario ai sensi dell'art. 2359 c.c., ovvero di una più generica “relazione, anche di fatto” fra due o più concorrenti è condizione necessaria, ma non anche sufficiente, perché si possa inferire il reciproco condizionamento fra le offerte formulate, essendo all’uopo necessario che l’Ente aggiudicatore fornisca adeguata prova anche circa il fatto che la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte siano imputabili ad un unico centro decisionale.

Siffatta prova può essere fornita in concreto dall’Ente aggiudicatore – sulla scorta di generali principi – anche ricorrendo a meccanismi presuntivi ai sensi degli articoli 2727 e 2729 c.c., con la precisazione che, ai sensi dell’art. 80 co. 5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, a dover essere dimostrata è soltanto l'unicità del centro decisionale e non anche la concreta idoneità ad alterare il libero gioco concorrenziale, non essendo anche richiesta alcuna indagine sulle ragioni di convenienza che possono aver indotto l'unitario centro di imputazione ad articolare offerte in parte diverse fra loro (Cons. Stato, V, 6 febbraio 2017, n. 496). Ciò in quanto la riconducibilità di due o più offerte a un unico centro decisionale costituisce ex se elemento idoneo a violare i generali principi in tema di par condicio, segretezza e trasparenza delle offerte (Cons. Stato, V, 18 luglio 2012, n. 4189).

Il Consiglio di Stato ha, infatti, precisato al riguardo che «la valutazione operata dalla stazione appaltante circa l'unicità del centro decisionale postula semplicemente l'astratta idoneità della situazione a determinare un concordamento delle offerte, non anche necessariamente che l'alterazione del confronto concorrenziale si sia effettivamente realizzata, nel caso concreto, essendo quella delineata dal legislatore una fattispecie di pericolo» (ex multis, Cons. Stato, V, 16 febbraio 2017, n. 496; III, 10 maggio 2017, n. 2173; III, 23 dicembre 2014, n. 6379; V, 18 luglio 2012, n. 4189; Cons. Stato, V, 22 ottobre 2018, n. 6010).

Ed invero, la fattispecie del collegamento sostanziale fra concorrenti è qualificabile come «di 'pericolo presunto' (con una terminologia di derivazione penalistica), in coerenza con la sua 'funzione di garanzia di ordine preventivo rispetto al superiore interesse alla genuinità della competizione che si attua mediante le procedure ad evidenza pubblica', e con la circostanza che la concreta alterazione degli esiti della selezione 'non è nella disponibilità delle imprese sostanzialmente collegate, ma dipende da variabili indipendenti rispetto alla loro volontà, quali in particolare il numero delle partecipanti e l'entità dei ribassi'» (Consiglio di Stato, Sez. V, 11 luglio 2016, n. 3057; Sez. V, 1° agosto 2015, n. 3772; Sez. V, 24 novembre 2016, n. 4959).

Per tali ragioni, se incombe sull’Ente aggiudicatore l'accertamento della sussistenza di un unico centro decisionale d'imputazione delle offerte sulla base degli indici presuntivi concreti, non è richiesta anche la prova che il collegamento fra i concorrenti sia poi pervenuto a risultati effettivi in relazione ai contenuti delle offerte e all'artificiale condizionamento degli esiti della gara; nel percorso presuntivo che conduce a ricavare un fatto ignoto da circostanze note ai sensi dell'art. 2727 Cod. civ., il fatto che occorre desumere dagli indici presuntivi è infatti la sussistenza dell'unicità del centro decisionale cui siano riconducibili le offerte, non già il contenuto effettivamente coordinato di queste, né le conseguenze anticoncorrenziali concretamente derivatene (Consiglio di Stato sez. V, 15 aprile 2020, n.2426).

Ai fini della verifica dell'esistenza di un collegamento sostanziale tra due o più imprese partecipanti a una medesima procedura di gara, il Consiglio di Stato ha, infine, precisato che le relazioni esistenti tra dette società devono configurare un indizio dotato di gravità, nel senso di elevata valenza probabilistica o attendibilità idonea a dimostrare il fatto ignoto, ossia, la riconducibilità delle offerte delle due società a un unico centro decisionale, quale sicura conseguenza del fatto noto, ossia, la titolarità di quote sociali comportanti il controllo o una notevole influenza sulle due società (Consiglio di Stato sez. V, 12 gennaio 2021, n.393).

VIII.2. – Con riguardo al caso in esame, il Collegio osserva che sussistono indizi gravi, precisi e concordanti circa l'esistenza del dedotto unico centro decisionale.

VIII.2.1. – Ed invero, tra la -OMISSIS- s.r.l. e la -OMISSIS- S.p.A. sussiste un rapporto formale, essendo la prima socia di maggioranza della seconda. La -OMISSIS- s.r.l., infatti, detiene una partecipazione pari all’80% del capitale sociale della -OMISSIS- S.p.A., esercitando, così, un pieno controllo ai sensi dell’art. 2359 co.1 n. 1) c.c., in ragione della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria.

VIII.2.2. – Con riguardo, poi, ai rapporti tra la -OMISSIS- s.r.l. e la -OMISSIS- s.r.l. sussiste, invece, una relazione sostanziale, poiché le due società, oltre ad avere in comune una parte della compagine sociale (ossia, il socio Sanguineti Marco), condividono il medesimo rappresentante legale, essendo Nissim Piercarlo amministratore di entrambe le società, oltre che socio della -OMISSIS- s.r.l. al 10%.

VIII.2.3. – Gli elementi descritti sono particolarmente significativi delle relazioni esistenti tra le tre società, configurando indizi dotati di gravità, nel senso di elevata valenza probabilistica o attendibilità idonea a dimostrare il fatto ignoto (la riconducibilità delle offerte delle tre società a un unico centro decisionale) quale sicura conseguenza del fatto noto (ossia, le relazioni comprovanti il controllo o una notevole influenza sulle società).

Il centro unico decisionale è desumibile, peraltro, anche da ulteriori elementi, quali: 1) le marche da bollo apposte sulle manifestazioni di interesse presentate dalla -OMISSIS- s.r.l. e dalla -OMISSIS- s.r.l. acquistate il medesimo giorno (il 30 dicembre 2020) ed alla medesima ora (le 14.48); 2) le offerte presentate dalle tre società “a scacchiera”, poiché, secondo quanto desumibile dalla documentazione in atti (all. 22 fasc. di primo grado del Comune di Genova): 2.1.) se partecipa la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A., la -OMISSIS- s.r.l. non partecipa mai; 2.2.) se partecipa la -OMISSIS- s.r.l., la -OMISSIS- s.r.l. non partecipa mai; 2.3) se la -OMISSIS- s.r.l. e la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. concorrono per il medesimo lotto, allora quest’ultima formula offerte sempre più basse rispetto alla prima.

Il coordinamento tra le varie offerte appare seguire una precisa metodologia contraddistinta da una sequenza dinamica costante, considerato che: a) la -OMISSIS- s.r.l. non avrebbe potuto concorrere con la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A., in quanto società formalmente controllante quest’ultima ex art. 2359 c.c.; b) la -OMISSIS- s.r.l. non avrebbe potuto concorrere neanche con la -OMISSIS- s.r.l., poiché, diversamente opinando, il comune amministratore di entrambe le società avrebbe operato in chiaro conflitto di interessi; c) nei casi in cui la -OMISSIS- s.r.l. e la -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. si contendevano il medesimo lotto, risultava sempre la prima quale migliore offerente; d) l’esito della partecipazione delle tre società appare particolarmente indicativo di un coordinamento tra le varie offerte, avendo, infatti, il R.U.P., nella sua relazione del 5 ottobre 2021 (all. 18 fasc. di primo grado del Comune di Genova), chiarito che “il risultato finale è una ripartizione equa degli impianti tra le tre società in questione, tenuto conto che gli impianti in gara erano 277 e che OPE si e` collocata al primo posto per 74 impianti, -OMISSIS- per 93 e -OMISSIS- per 93”.

L’intento elusivo del limite dell’aggiudicazione di cui all’art. 3.2. del disciplinare di gara, pertanto, appare più che comprovato, essendo evidente il coordinamento delle offerte ad opera di un unico centro decisionale tendente a favorire l’acquisizione del maggior numero di lotti da parte delle tre società.

Il motivo di appello proposto dall’appellante principale, pertanto, è fondato.

IX. In conclusione, la fondatezza dei motivi ritenuti meritevoli di accoglimento giustifica la dedotta erroneità della sentenza appellata.

X. – Tuttavia, con riguardo alla posizione processuale della società appellata, l’effetto devolutivo dell’appello – pur sempre coniugato con l’onere rivolto alla parte appellante, ex art. 101, comma 2, c.p.a., di riproporre in forma espressa i motivi assorbiti o non esaminati in primo grado, che, in mancanza di puntuale riproposizione, dà luogo ad una decadenza o, se si vuole, ad una presunzione assoluta di rinuncia – ha indotto la parte appellata a riproporre tutti i motivi di censura dedotti in primo grado.

Al riguardo vale la pena di ricordare che l'art. 101, comma 1, c.p.a. non consente una generica riproposizione dei motivi di ricorso (respinti o ritenuti) assorbiti dal giudice di primo grado, ma richiede la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo sul quale si fonda la decisione appellata, poiché l'oggetto del giudizio di appello è costituito dalla pronuncia dell’adito T.a.r. e non dal provvedimento gravato in primo grado (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. II, 19 agosto 2021 n. 5939). L'effetto devolutivo dell'appello, infatti, non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare nel relativo atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili, non potendo l'appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 26 luglio 2021 n. 5534 e Sez. II, 21 luglio 2021 n. 5504).

Nel caso di specie, però, a subire l’effetto privativo dell’esame dei motivi di ricorso di primo grado, in conseguenza dell’eventuale accoglimento dell’appello proposto nei confronti della sentenza nell’ambito della quale – pur accogliendo il ricorso – non sono stati esaminati tutti i motivi di doglianza dedotti dal ricorrente nei confronti degli atti in quella sede impugnati, sarebbe la parte appellata, di talché essa correttamente ha proceduto a riformulare i motivi di doglianza ritenuti assorbiti dal primo giudice, in tal modo rispettando le regole processuali sopra richiamate.

Né, peraltro, era all’uopo necessaria la proposizione di un appello incidentale, poiché per consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, III, 19 marzo 2014 n. 1357; IV, 14 aprile 2014 n. 1816; V, 4 agosto 2014 n. 4157; 10 agosto 2016 n. 3568), l'art. 101, comma 2, del Cod. proc. amm. consente alle parti diverse dall'appellante di riproporre le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, mediante memoria difensiva da depositare a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio delle parti medesime; nell'ipotesi, invece, in cui un'eccezione pregiudiziale sia stata esaminata e respinta dal giudice di primo grado, la parte che intende riproporre quella eccezione ha l'onere di impugnare il relativo capo della sentenza nelle forme dell'appello incidentale, anche condizionato (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 novembre 2018 n.6551).

Con riguardo al caso in esame, la parte appellata si è costituita in giudizio il 5 maggio 2022, riproponendo i motivi di ricorso di primo grado con la successiva memoria depositata il 10 giugno 2022, ossia entro il termine di costituzione di 60 giorni previsto dall’art.46 c.p.a. per le parti intimate decorrente dal perfezionamento nei loro confronti della notifica del ricorso introduttivo (nella fattispecie coincidente con il 3 maggio 2022) ed applicabile al giudizio di appello in virtù del rinvio interno contemplato dall’art.38 c.p.a.

Pertanto, avendo la parte appellata con la memoria di costituzione tempestivamente riproposto i motivi di impugnazione già dedotti in primo grado, occorre procedere all’esame degli stessi.

X.1. – Con il primo motivo del ricorso di primo grado, la società appellata lamenta la violazione e o falsa applicazione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 in relazione agli atti di disciplina della gara e la violazione degli artt. 8 e ss. L. n.241/1990, poiché l’Amministrazione comunale non avrebbe puntualmente confutato le argomentazioni difensive formulate con la memoria presentata dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento di esclusione dalla procedura.

La doglianza è destituita di fondamento, poiché gli elementi individuati dal R.U.P., quali in particolare il controllo societario della -OMISSIS- s.r.l. sulla -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A. ed i rapporti intercorrenti tra la -OMISSIS- s.r.l. e la -OMISSIS- s.r.l. comprovati anche dalle offerte formulate dalle tre società e dall’esito della gara per l’affidamento dei lotti di interesse, sono di per sé indicativi della dedotta sussistenza di un centro unico decisionale operante in elusione del limite di aggiudicazione previsto dall’art. 3.2. del disciplinare di gara.

Pertanto, il motivo non è meritevole di accoglimento.

X.2. – Con il secondo motivo la società appellata lamenta la violazione e o falsa applicazione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 in relazione alla specifica disciplina di gara poiché la norma giustificante l’adozione del provvedimento di esclusione impugnato non sarebbe applicabile alle procedure di affidamento, come quella in questione, contraddistinta da 277 lotti tra loro autonomi.

Il Collegio osserva che la questione è stata già esaminata al punto VII e, pertanto, il motivo è infondato.

X.3. – Con il terzo motivo la società appellata lamenta la violazione e o falsa applicazione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016 in relazione alle premesse degli atti preliminari alla gara, eccesso di potere per falsità dei presupposti e o travisamento, difetto di proporzionalità, sviamento di potere poiché, quand’anche si ritenesse sussistente il dedotto centro unico decisionale rilevato dall’Amministrazione comunale, sarebbe, comunque, illegittima, in quanto sproporzionata, l’esclusione dalla gara per tutte le offerte, potendo le tre società unitariamente concorrere ed ottenere l’aggiudicazione dei lotti almeno nella prevista misura del 33%.

Il motivo è destituito di fondamento, poiché l’esclusione delle tre società dalla partecipazione alla procedura per tutti i lotti di loro interesse è giustificata dalla configurabilità della fattispecie di cui all’art. 80 co. 5 lett. m) in relazione alle offerte presentate dalla -OMISSIS- s.r.l. e dalla -OMISSIS- -OMISSIS- S.p.A per i medesimi lotti e da quella di cui all’art. 80 co. 5 lett. c-bis) D.Lgs. n. 50/2016 per tutti gli altri lotti per i quali le tre società hanno separatamente concorso l’una dalle altre in ragione del perseguito intento elusivo del limite di aggiudicazione di cui all’art. 3.2. del disciplinare di gara.

X.4. – Con il quarto motivo di ricorso la società appellata lamenta la violazione e o falsa applicazione dell’art. 80 co.5 lett. m) D.Lgs. n. 50/2016, nonché l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione, falsità del presupposto, manifesta illogicità e perplessità, sviamento di potere poiché non sussisterebbe l’asserito centro decisionale unico in virtù dei rapporti intercorrenti con le altre società, tanto più che, nella sua relazione, il R.U.P. ne ha ipotizzato la sussistenza in termini probabilistici.

Il Collegio osserva che la questione è stata già esaminata al punto VIII, dovendosi all’uopo sottolineare soltanto l’irrilevanza delle iniziali perplessità manifestate dal R.U.P., poiché con la nota del 7 gennaio 2021, prot. n. 4079, il R.U.P. aveva invitato le società a presentare le offerte per i lotti di loro interesse, mantenendo, però, “salva la facoltà della Stazione Appaltante di verificare in concreto al momento della presentazione dell’offerta se le offerte presentate siano imputabili ad un unico centro decisionale”.

Il motivo, pertanto, è infondato, avendo legittimamente riscontrato il Comune di Genova elementi sufficienti a comprovare la sussistenza di un unico centro decisionale per le ragioni già indicate al punto VIII.

X.5. – Con il quinto motivo di ricorso la società appellata lamenta l’illegittimità degli atti di gara per violazione delle disposizioni del disciplinare di gara, violazione dei principi generali in tema di procedure di gara con specifico riguardo al principio di continuità delle sedute pubbliche, poiché, anzitutto, le sedute si sarebbero tenute a distanza di molto tempo (soprattutto quelle di giugno 2021 rispetto alla prima tenutasi il 28 gennaio 2021) ed inoltre non sarebbe stata redatta una graduatoria provvisoria, con conseguente proposta di aggiudicazione, e la procedura sarebbe, comunque, rimasta sospesa sine die fino all’apertura del subprocedimento conclusosi con l’impugnato provvedimento di espulsione.

Il Collegio osserva che anche questa censura è priva di fondamento, sia perché la Commissione giudicatrice ha redatto per ogni seduta un verbale, indicando per ciascuna di esse le operazioni svolte, sia per l'esatto significato da attribuire al principio di concentrazione e di continuità che, secondo quanto da tempo chiarito, «il principio di continuità delle operazioni di gara ha carattere tendenziale, nel senso che non si tratta di un precetto inviolabile ma, al contrario, tollera deroghe alla sua operatività, in particolare in presenza di situazioni peculiari che impediscano obiettivamente l'esaurimento di tutte le operazioni di gara in una sola seduta, purché sia garantita nelle more l'integrità delle offerte e sia quindi assicurata l'imparzialità del giudizio (Cons. St., sez. V, 12 giugno 2018, n. 2811; id., sez. III, 25 novembre 2016, n. 4993; id., sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257)» (Consiglio di Stato sez. III, 5 marzo 2018, n.1335).

Pertanto, il principio di continuità delle operazioni di gara (ex multis: Cons. St., sez. III, 11 ottobre 2016, n. 4199), «non è di tale assolutezza e rigidità da determinare sempre e comunque, laddove vulnerato, l'illegittimità degli atti di gara, soprattutto allorquando - come nel caso di specie - la procedura, per la complessità delle operazioni valutative, per l'elevato numero dei concorrenti e dei lotti di gara o per altre obiettive circostanze di rilievo (si pensi all'attività svolta dall'Autorità Nazionale Anticorruzione) si protragga nel tempo (nel caso di specie poco più di sei mesi)».

Nella fattispecie, il Comune di Genova ha redatto per ogni seduta un apposito verbale descrittivo delle operazioni di gara espletate e la tempistica seguita appare giustificata dalle attività sub-procedimentali eseguite a fronte delle contestazioni avanzate da talune delle società partecipanti, nonché della necessità di effettuare i dovuti controlli sul possesso dei requisiti di partecipazione e del complessivo numero di lotti assegnati (277).

E poiché, in ogni caso, non risulta provato che la tempistica caratterizzante la procedura in questione abbia influito sull’integrità delle offerte o sull’imparzialità del giudizio del Comune di Genova, il motivo è destituito di fondamento.

X.6. – Con il sesto motivo di ricorso, la società appellata lamenta l’illegittimità dell’aggiudicazione impugnata per violazione dell’art. 97 Cost. ed eccesso di potere per sviamento, poiché l’aggiudicazione, oltre ad essere inficiata da invalidità derivata per i motivi precedentemente dedotti, sarebbe anche illegittima per vizi propri, non contemplando alcun riferimento tanto al precedente provvedimento di esclusione adottato nei confronti della società appellata e delle altre due società interessate, quanto all’eccessiva tempistica procedimentale seguita, essendo stato elaborato l’elenco delle offerte cinque mesi dopo l’apertura delle offerte economiche. Inoltre, l’aggiudicazione darebbe atto della congruità delle offerte delle aggiudicatarie per un importo su base triennale complessivo di soli € 236.000,00 nonostante l’assegnazione di 209 lotti su 277 ad una sola impresa in violazione del limite del 33%, mentre l’introito originariamente stimato era di circa € 1.910.530,00 in spregio all’art. 17 del disciplinare di gara che riconosceva al Comune la facoltà di non aggiudicare le offerte risultate non convenienti, come nell’occasione.

Il Collegio osserva che, in disparte l’infondatezza della dedotta invalidità derivata scaturente dalla paventata illegittimità degli atti di gara precedenti per motivi già esaminati e giudicati destituiti di fondamento, l’omessa menzione nell’impugnato provvedimento di aggiudicazione della tempistica seguita durante tutto l’iter procedimentale e del provvedimento di esclusione adottato nei confronti della società appellata e delle altre due società interessate non inficia la correttezza dell’operato del Comune di Genova, non pregiudicato il diritto di difesa delle predette società coinvolte.

Con riguardo, poi, a riflessi economici dell’operato del Comune di Genova, occorre precisare che la censura tendere a sindacare una scelta ampiamente discrezionale dell’Ente aggiudicatore, ossia l’eventuale non aggiudicazione per non convenienza o idoneità delle offerte presentate, costituente l’eccezione, a fronte della differente regola secondo cui la gara deve essere aggiudicata al miglior offerente.

Ai sensi dell'art. 95, comma 12, d.lgs. n. 50/2016, infatti, "Le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all'aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del contratto. Tale facoltà è indicata espressamente nel bando di gara o nella lettera di invito".

Il che implica l’onere per l’Ente aggiudicatore di motivare la scelta di non aggiudicare e non anche quella di aggiudicare la gara.

Nella fattispecie, trattandosi di una procedura indetta per l’affidamento di contratti attivi, lo scopo perseguito dal Comune di Genova era la concessione degli impianti propedeutici a consentire l’espletamento di attività pubblicitaria a chi avesse presentato la migliore offerta, offrendo il più alto rialzo del canone a base d’asta, ferma restando la necessaria osservanza di tutte le regole di gara.

Pertanto, quand’anche il risultato economico complessivo conseguito all’esito della gara fosse inferiore rispetto alle aspettative, l’interesse pubblico del Comune di Genova giustificherebbe, comunque, l’assegnazione dei lotti al miglior offerente.

Donde, l’infondatezza della doglianza.

Con riguardo, infine, alla violazione del limite di aggiudicazione scaturente dall’esito della gara a fronte dell’assegnazione alla società appellante di 209 lotti sui 277 disponibili in conseguenza dell’esclusione delle società partecipanti sospettate di costituire un unico centro decisionale, il Collegio osserva che la regola contemplata dall’art. 3.2. del disciplinare di gara è preordinata ad assolvere una funzione pro-concorrenziale e, quindi, presuppone la presenza di più offerte per ciascun singolo lotto considerato, non operando, per converso, laddove, invece, manchi la pluralità delle offerte.

L’art. 3.2. del disciplinare di gara, in tal senso, è chiaro nel limitare l’ambito di operatività dei criteri di assegnazione del 33% soltanto per gli impianti per cui “sia stata presentata più di una offerta”.

E poiché, secondo il prospetto delle offerte prodotto in atti (all. 22 del fasc. di primo grado del Comune di Genova), la società appellante, dopo l’esclusione delle tre società sospettate di costituire un centro unico decisionale, è rimasta unica offerte per la quasi totalità dei lotti per i quali ha manifestato interesse, l’esito finale della procedura non può ritenersi illegittimo, non sussistendo il dedotto contrasto con l’art. 3.2. del disciplinare di gara.

Donde, l’infondatezza del motivo di ricorso dedotto dalla società appellata.

XI. – In conclusione, l’appello principale e l’appello incidentale devono essere accolti, per i motivi ritenuti fondati, e, di conseguenza, la sentenza appellata deve essere integralmente riformata, dovendosi dichiarare il ricorso di primo grado proposto dalla società appellata in parte irricevibile ed in parte infondato.

XII. – La peculiarità delle questioni di diritto dedotte ed esaminate giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali del doppio grado di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, riforma la sentenza appellata e dichiara il ricorso di primo grado proposto dalla società appellata in parte irricevibile, rigettandolo per il resto.

Spese processuali del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Claudio Contessa, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Maurizio Antonio Pasquale Francola, Consigliere, Estensore

Brunella Bruno, Consigliere