CONCORSO DI PERSONE
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (REATI CONTRO LA -ARTT. 314-356 C.P.)


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 1 ottobre 2018, n.43287
Ai fini della configurabilità della responsabilità dell’extraneus per concorso nel reato proprio (nel caso di specie, nel reato di abuso di ufficio), è indispensabile, oltre alla cooperazione materiale ovvero alla determinazione o istigazione alla commissione del reato, che l’intraneus esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio, indipendentemente dalla sua punibilità in concreto per la eventuale presenza di cause personali di esclusione della responsabilità. |
CASUS DECISUS
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce in data 9 febbraio 2015 che condannava O.G. , O.R. (quali concorrenti morali estranei determinatori dell’altrui condotta criminosa) e S.A.M. (quale incaricato di pubblico servizio esecutore materiale della condotta criminosa), alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di concorso in abuso d’ufficio. Avverso la sentenza ricorre per cassazione S.A.M.. |
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 1 ottobre 2018, n.43287 - Pres. Petruzzellis – est. Vigna Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Lecce ha
confermato la sentenza del Tribunale di Lecce in data 9 febbraio 2015 che
condannava O.G. , O.R. (quali concorrenti morali estranei determinatori
dell’altrui condotta criminosa) e S.A.M. (quale incaricato di pubblico servizio
esecutore materiale della condotta criminosa), alla pena di mesi sei di
reclusione per il reato di concorso in abuso d’ufficio. 1.1. In particolare: - O.G. richiedeva
il permesso a costruire per un progetto per l’ampliamento di volumi esistenti e
realizzazione di due nuove strutture da destinarsi a turismo rurale in agro di
(...), essendo priva dei requisiti soggettivi per farlo (non essendo iscritta
all’albo regionale degli operatori agrituristici, non possedendo i requisiti di
imprenditrice agricola, non avendo presentato il piano di utilizzazione
aziendale, non avendo una disponibilità certa e duratura dei terreni, non
avendo mezzi di produzione agricola né manodopera) e trattandosi comunque di un
intervento in violazione della normativa urbanistica; - O.R. , quale
tecnico incaricato dalla proprietà redigeva la progettazione allegata alla
domanda che, nella descrizione dell’intervento, celava la realizzazione dei due
nuovi manufatti che pure erano ben rappresentati sugli elaborati grafici e
descritti nella relazione tecnica oltre ad essere menzionati nella domanda del
permesso a costruire; - S.A.M. , quale
responsabile del procedimento del Comune rilasciava il 20 ottobre 2011
l’autorizzazione paesaggistica n. 8/2011 all’intervento sulla base di un
progetto che prevedeva un intervento edilizio sostanzialmente diverso da quello
per il quale era stato richiesto e poi rilasciato il permesso a costruire, attestando
inoltre falsamente che l’intervento ricadeva in un’area non sottoposta a
vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004. Gli imputati così
concorrevano a procurare a O.G. un ingiusto vantaggio patrimoniale costituito
dal rilascio del permesso a costruire numero 67 del 25 ottobre 2011,
indebitamente rilasciato in quanto illecito per contrarietà a norme di legge
dal pubblico ufficiale Sa.Gi. . 2. Avverso la
sentenza ricorre per cassazione S.A.M. , a mezzo del difensore di fiducia,
deducendo i seguenti motivi: 2.1. Erronea
applicazione della legge penale in relazione all’articolo 323 cod. pen. per
mancata indicazione della norma di legge violata. La Commissione
locale per il paesaggio emanava inizialmente un parere sfavorevole al rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica sulla scorta di rilievi critici sotto il
profilo paesaggistico; la O. rimodulava -proprio sulla scorta di tali rilievi -
l’intervento proposto; la Commissione riteneva quindi superati gli impedimenti
e adottava parere favorevole; sulla scorta di ciò l’imputato, nei termini
previsti per legge, rilasciava l’autorizzazione paesaggistica. 2.2. Manifesta
illogicità della motivazione poiché l’assenza di vincoli alla quale fa
riferimento l’imputato in sede di trasmissione della pratica alla
Sovraintendenza riguardava pacificamente quelli ulteriori previsti dalla legge
Galasso, che appunto non erano sussistenti. 2.3. Erronea
applicazione della legge regionale Puglia n. 20/2009. Si contesta
all’imputato di non essersi discostato dal parere favorevole della Commissione
per il paesaggio, rilasciando conseguentemente la autorizzazione paesaggistica,
pur avendo egli piena contezza, per averlo precedentemente esaminato (nella
veste di responsabile del procedimento urbanistico), delle asserite molteplici
problematiche di natura urbanistica che l’intervento edilizio presentava. S. , nella
precedente veste di istruttore urbanistico, aveva espresso in data 23 agosto
2010 parere sfavorevole alla pratica edilizia limitandosi ad evidenziare: 1) il
contrasto con le norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale,
relativamente alla superficie fondiaria minima; 2) la mancanza di iscrizione
all’albo regionale degli operatori agrituristici; 3) la mancanza dei requisiti
di imprenditore agricolo. Egli non entrò quindi nel merito della valutazione
dell’intervento per i profili architettonici, di consistenza metrica o di
compatibilità urbanistica. Nella successiva
valutazione in qualità di responsabile del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica, l’imputato, adeguandosi al parere favorevole della Commissione
in applicazione dell’articolo 9 della legge regionale Puglia sopra citata,
rilasciava la richiesta autorizzazione ai sensi dell’articolo 146 del decreto
legislativo n. 42/2004, attenendosi al solo aspetto paesaggistico, non potendo
più entrare nel merito della valutazione urbanistico edilizia di competenza
esclusiva di altro organo amministrativo. 2.4. Erronea
applicazione della legge penale e vizio di motivazione con riferimento
all’articolo 323 comma 1 cod. pen. e dell’art. 9 della legge regionale n.
20/2009. Si contesta all’imputato di essere stato troppo succinto e troppo
sollecito nel rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Non vi è, però,
alcuna norma di legge che imponga una motivazione articolata; a maggior
ragione, nel caso in esame, essendo intervenuto parere favorevole della
Commissione del paesaggio. Quanto alla presunta celerità, S. si è limitato a
rispettare i modi e i tempi previsti dalla legge. 3. Avverso la
sentenza ricorrono, con un unico atto, O.G. e O.R. , a mezzo del difensore di
fiducia, deducendo come unico motivo la violazione di legge con riferimento
agli articoli 110 e 323 cod. pen., e all’art. 6 e art. 1 prot. 1 CEDU, nonché
il vizio di motivazione. 3.1. Nella
richiesta di rinvio a giudizio erano individuati come concorrenti nel reato
anche il tecnico responsabile del procedimento (Sa.Gi. ) e i componenti la
Commissione per il paesaggio. Il processo non ha visto la partecipazione degli
stessi e per ciò solo il Tribunale avrebbe dovuto procedere ex art. 129 cod.
proc. pen. e prosciogliere anche l’extraneus del reato. 3.2. È illogica e
irragionevole la motivazione della Corte di appello allorché sostiene che non
vi è alcuna norma che preveda la necessaria presenza del pubblico ufficiale nel
medesimo processo dell’extraneus poiché non si comprende come sia possibile
prosciogliere il pubblico ufficiale autore del reato proprio e condannare il
concorrente morale. 3.3. La Corte
evidenzia che il giudice di primo grado ha disposto la trasmissione degli atti
alla Procura della Repubblica per eventuali determinazioni in ordine alla
posizione di Sa. . È evidente che lo stralcio della posizione processuale di
Sa. deve derivare da un provvedimento giurisdizionale. La Corte avrebbe dovuto
disporre l’acquisizione degli atti dell’udienza preliminare e/o almeno la
richiesta di rinvio a giudizio e il provvedimento del G.u.p.. Per queste ragioni
il processo è stato ingiusto iniquo e non imparziale. 3.4. Le ricorrenti
nei motivi di appello hanno contestato in toto la sentenza di primo grado e ha
quindi errato la Corte sostenendo che la ricostruzione dell’iter amministrativo
non sia stata messa in discussione. Proprio per tale motivo era stata richiesta
la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Non risulta che i
giudici territoriali abbiano esaminato i certificati di destinazione
urbanistica e verificato il volume esprimibile dai terreni in relazione
all’intervento richiesto. La Corte di
appello sostiene che la normativa in materia di agriturismo consente soltanto
di intervenire sulle strutture aziendali esistenti, escludendo interventi di
nuova costruzione senza indicare però a quale normativa faccia riferimento. Alla luce di tali
considerazioni non è possibile ravvisare in capo alle ricorrenti il dolo
intenzionale del reato dell’abuso d’ufficio. 3.5. La Corte
territoriale sostiene che l’appello delle ricorrenti fosse sostanzialmente
inammissibile perché privo di censure specifiche. In realtà si censurava
chiaramente la violazione di legge in relazione alla sussistenza dell’elemento
soggettivo del reato contestato e la Corte non ha fornito risposta. Considerato in
diritto 1. I ricorsi
colgono nel segno e la sentenza deve essere conseguentemente annullata con
rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per
i motivi di seguito esposti. 2. Mette conto
evidenziare che l’integrazione del reato di abuso d’ufficio richiede una
duplice distinta valutazione di ingiustizia, sia della condotta (che deve
essere connotata da violazione di norme di legge o di regolamento), sia
dell’evento di vantaggio patrimoniale (che deve risultare non spettante in base
al diritto oggettivo); non è peraltro necessario, ai fini predetti, che
l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale derivi da una violazione di norme
diversa ed autonoma da quella che ha caratterizzato l’illegittimità della
condotta, qualora - all’esito della predetta distinta valutazione -
l’accrescimento della sfera patrimoniale del privato debba considerarsi contra
ius (Sez. 6, n. 11394 del 29/01/2015, Rv. 262793). 2.1. Per quel che
inerisce l’elemento psicologico del reato, è nota la linea interpretativa
tracciata da questa Suprema Corte, secondo cui, esclusa l’esigenza di un
accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire
poiché l’intenzionalità del vantaggio ben può prescindere dalla volontà di
favorire specificamente il privato interessato alla singola vicenda
amministrativa (Sez. 6, n. 31594 del 19/04/2017, Rv. 270460; Sez. 6, n. 36179
del 15/04/2014, Rv. 260233; Sez. F, n. 38133 del 25/08/2011, Rv. 251088) - la
prova del dolo intenzionale che qualifica la fattispecie ben può essere desunta
anche da altri elementi, quali, ad esempio, la macroscopica illegittimità
dell’atto compiuto (Sez. 3, n. 48475 del 07/11/2013, Rv. 258290; Sez. 6, n.
49554 del 22/10/2003, Rv. 227205), ovvero l’erronea interpretazione di una
norma amministrativa, il cui risultato si discosti in termini del tutto
irragionevoli dal senso giuridico comune, tanto da apparire frutto di
un’arbitraria decisione (Sez. 5, n. 10636 del 12/02/2009, Rv. 243296). 2.2. La Corte di
appello, nel caso in esame, non ha fatto corretta applicazione di tale regula
iuris ed è incorsa in diversi vizi motivazionali che saranno di seguito
esposti. 3. Deve, in
particolare, evidenziarsi, quanto a S. , che nella sentenza impugnata non viene
indicato chiaramente da quali elementi sia desumibile la sussistenza del dolo
intenzionale in capo allo stesso, né si fa riferimento ad alcuna macroscopica
illegittimità da lui posta in essere quale R.U.P. paesaggistico. Il ricorso coglie
nel segno nell’evidenziare il vizio motivazionale, per carenza illogicità e
contraddittorietà, in cui è incorsa la Corte di appello di Lecce che non ha
superato le doglianze difensive che hanno posto in evidenza che risulta che il
parere di S. sia intervenuto su un progetto diverso rispetto a quello per cui è
stato successivamente concesso il permesso a costruire e che il progetto
sottoposto all’autorizzazione paesistica non risulta difforme dalla normativa
di settore, mentre l’attestazione della insussistenza di ulteriori vincoli
concerne unicamente quelli relativi alla legge Galasso che difatti non
risultano contestati. Il ricorrente,
nella veste di istruttore urbanistico, aveva inizialmente espresso parere
sfavorevole alla pratica edilizia limitandosi ad evidenziare il difetto di
prerequisiti senza entrare nel merito della valutazione dell’intervento per i
profili architettonici di consistenza metrica o di compatibilità urbanistica.
La Corte territoriale non ha fornito adeguata motivazione in ordine alla
rilevanza di tale condotta ai fini della prova del dolo intenzionale. Del pari la
sentenza impugnata non supera i rilievi difensivi in ordine al fatto che
l’autorizzazione paesaggistica rilasciata da S. si pone del tutto autonomamente
rispetto alla valutazione urbanistica che attiene al rilascio del permesso di
costruire (come ribadito dall’art. 9 della legge della Regione Puglia n. 20 del
2009) e che, quindi, il ricorrente, nella successiva valutazione in qualità di
Responsabile del procedimento per il rilascio della autorizzazione
paesaggistica, non aveva violato alcuna norma di legge non discostandosi dal
parere favorevole della Commissione per il paesaggio e non potendo più entrare
nel merito della valutazione urbanistico edilizia di competenza di altro organo
amministrativo. Si contesta,
infine, all’imputato di essere stato troppo succinto e troppo sollecito nel
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Anche in questo caso i Giudici di
merito non hanno adeguatamente confutato le deduzioni difensive che
evidenziavano le ragioni per le quali S. aveva potuto evadere velocemente la
pratica (in particolare il precedente parere favorevole della Commissione del
paesaggio) e che S. si era limitato a rispettare i modi e i tempi previsti
dalla legge per il rilascio della autorizzazione paesaggistica. 4. Il ricorso di
O.R. e O.G. coglie nel segno laddove denuncia un’ incertezza sulla
responsabilità del pubblico ufficiale, concorrente necessario dell’ipotesi
delittuosa come contestata. In particolare,
con riferimento a S. già si è detto nel paragrafo precedente; quanto al
pubblico ufficio che ha curato la pratica per il rilascio della concessione
edilizia, la sentenza non riporta alcun elemento da cui possa trarsi
l’affermazione della sua responsabilità a titolo di concorso nel reato di abuso
di ufficio per cui si procede. Deve ricordarsi,
sul punto, che, ai fini della configurabilità della responsabilità dell’extraneus
per concorso nel reato proprio (nel caso di specie, nel reato di abuso di
ufficio), è indispensabile, oltre alla cooperazione materiale ovvero alla
determinazione o istigazione alla commissione del reato, che l’intraneus
esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio,
indipendentemente dalla sua punibilità in concreto per la eventuale presenza di
cause personali di esclusione della responsabilità (Sez. 6, n. 40303 del
08/07/2014, Rv. 260465). 4.1 D’altra parte
la sentenza impugnata risulta priva di idonea motivazione per quello che
riguarda la ritenuta violazione della disciplina urbanistica che avrebbe
impedito il rilascio della concessione; il giudice di rinvio dovrà chiarire in
cosa consista detta violazione precisando, altresì, la rilevanza dal punto di
vista dell’elemento soggettivo della condotta come contestata alle due
imputate. 4.2. Le restanti
censure delle ricorrenti devono ritenersi assorbite. P.Q.M. Annulla la
sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte
d’appello di Lecce |