ONORE (REATI CONTRO LA –ARTT. 594-599)
SCRIMINANTI



CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 8 marzo 2017, n.11087
L’esercizio del diritto di critica giudiziaria che si appunti sull’operato di un magistrato dell’Ufficio del Pubblico Ministero non può consistere nella gratuita attribuzione di malafede, risolvendosi, altrimenti, in una lesione della reputazione professionale e della intangibilità della sfera di onorabilità del magistrato medesimo. |
CASUS DECISUS
La Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza emessa il 30 settembre 2013 dal Tribunale di Cosenza, condannava L.P. alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili per il delitto di cui agli artt. 57 e 595 cod. pen.. L’oggetto dell’addebito consisteva nel fatto che egli, da direttore responsabile del giornale "(omissis) ", edizione nella (omissis) , omettendo di esercitare il dovuto controllo sul contenuto della lettera a firma di M.A. , pubblicata sulla pagina del (omissis) , nella quale - con riferimento all’inchiesta giudiziaria condotta dalla Procura della Repubblica di Potenza sulla regolarità della procedura espropriativa, in favore di una società petrolifera, di fondi - venivano criticati aspramente alcuni soggetti coinvolti nella vicenda, S.A. e D.L.A. definiti "Scrocconi e faccendieri", ed Pubblico Ministero titolare dell’indagine, W.H.J. , definito "Magistrato d’assalto che con molta leggerezza e pressapochismo sta perseguendo persone innocenti" arrogandosi "un potere che non rientra, ma anzi confligge con la sua funzione e attribuzione", che con "arbitrio ha stralciato il T.U. sugli espropri", consentiva che venisse arrecata offesa alla reputazione delle persone indicate. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato. |
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 8 marzo 2017, n.11087 - Pres. Zaza – est. Scordamaglia Ritenuto in fatto
1. Con sentenza
del 25 gennaio 2016 la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza
emessa il 30 settembre 2013 dal Tribunale di Cosenza, condannava L.P. alla pena
ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili
per il delitto di cui agli artt. 57 e 595 cod. pen.. L’oggetto
dell’addebito consisteva nel fatto che egli, da direttore responsabile del
giornale '(omissis) ', edizione nella (omissis) , omettendo di
esercitare il dovuto controllo sul contenuto della lettera a firma di M.A. ,
pubblicata sulla pagina del (omissis) , nella quale - con riferimento
all’inchiesta giudiziaria condotta dalla Procura della Repubblica di Potenza
sulla regolarità della procedura espropriativa, in favore di una società
petrolifera, di fondi ubicati in località (omissis) del comune di (omissis) -
venivano criticati aspramente alcuni soggetti coinvolti nella vicenda, S.A. e
D.L.A. definiti 'Scrocconi e faccendieri', ed Pubblico Ministero
titolare dell’indagine, W.H.J. , definito 'Magistrato d’assalto che con
molta leggerezza e pressapochismo sta perseguendo persone innocenti'
arrogandosi 'un potere che non rientra, ma anzi confligge con la sua
funzione e attribuzione', che con 'arbitrio ha stralciato il T.U.
sugli espropri', consentiva che venisse arrecata offesa alla reputazione
delle persone indicate. La Corte territoriale
riteneva la responsabilità dell’imputato, reputando che questi fosse venuto
meno ai propri doveri di vigilanza sul contenuto della lettera pubblicata,
suscettibile di integrare il delitto di diffamazione perché alcune delle
espressioni ivi utilizzate non potevano ritenersi scriminate dall’esercizio del
diritto di critica avendo superato il limite della continenza. 2. Avverso tale
sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, Avv. Marina
Pasqua, lamentando: con il primo
motivo, il vizio di cui all’articolo 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., per
motivazione mancante, contradditoria o manifestamente illogica, atteso che la
Corte di Appello era incorsa in un travisamento della prova, poiché aveva
omesso di verificare dettagliatamente se le espressioni contenute nella lettera
incriminata, traducentesi senza dubbio in giudizio negativi sull’operato delle
persone coinvolte nella vicenda ed in stigmatizzazioni critiche del profilo
professionale del magistrato, fossero, alla luce del contesto in cui lo scritto
si muoveva, espressione del legittimo esercizio del diritto di critica,
soprattutto di quella giudiziaria; con il secondo
motivo, il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen., per
violazione degli artt. 51 e 595 cod.pen., atteso che dalla mancata
contestualizzazione delle espressioni incriminate discendeva l’erronea
applicazione delle norme penali di riferimento, soprattutto con specifico
riguardo al limite della continenza, che non poteva dirsi travalicato, poiché dalla
valutazione complessiva della lettera pubblicata emergeva che le espressioni
'scrocconi e faccendieri” - delle quali era persino da dubitare che si
riferissero effettivamente a S. e D.L. - non assumevano rilievo penalistico,
trattandosi di espressioni gergali e di uso ormai diffuso, e che le espressioni
riferite al Pubblico Ministero Dott. W. non integravano un’inutile aggressione
diretta a colpirlo sul piano individuale, ma un attacco, per quanto aspro e
violento, al suo solo operato nell’inchiesta di cui si disquisiva nella lettera
pubblicata.
Considerato in
diritto
Il ricorso va
respinto. 1. Sono infondate
le deduzioni di cui al primo motivo di ricorso con le quali l’imputato lamenta
il vizio di travisamento della prova nel quale sarebbe incorso il giudice
dell’appello omettendo di verificare, in maniera dettagliata e nel contesto
dello scritto in cui le espressioni censurate come diffamatorie sono inserite,
la concreta portata offensiva delle stesse. La Corte
territoriale, infatti, dopo avere delineato il contesto nel quale si innestava
la lettera ritenuta diffamatoria, dal titolo: 'Lucania tra fato, arbitrio
ed anarchia' ed a firma di M.A. - fratello del sindaco di (omissis) , i
cui amministratori erano rimasti coinvolti nell’inchiesta condotta dalla
Procura della Repubblica di Potenza - ha subito precisato che la questione da
vagliare non ineriva al contenuto tecnico delle critiche rivolte nello scritto
all’operato del magistrato titolare dell’inchiesta cd. “(omissis) ” e dei
soggetti che se ne ritenevano gli ispiratori, ma al modo in cui tale critiche
erano state formulate: se, cioè, le espressioni utilizzate dall’autore per
manifestare la propria opinione polemica sul tema trattato - secondo quanto
garantito dall’art. 21 Cost. - si mantenessero nei limiti della continenza -
che richiede una forma espositiva non sproporzionata rispetto al concetto da
esprimere - così da ricevere la copertura della scriminante dell’esercizio del
diritto di cui all’art. 51 cod. pen., oppure travalicassero la specifica
vicenda assumendo connotati denigratori e di gratuito dileggio delle persone. Sulla base di
questo criterio metodologico, la stessa Corte ha dettagliatamente operato una
distinzione, nell’insieme delle espressioni utilizzate dall’articolista, tra
quelle rientranti nell’alveo di una critica aspra ma non esulante i limiti
della continenza, e quelle che, oltrepassando il tema oggetto di intervento,
assumevano connotati obiettivamente denigratori delle persone bersaglio della
riprensione. Così, quanto al W. , mentre ha ritenuto che costituissero
legittima estrinsecazione del diritto di critica gli aspri giudizi formulati
sul conto del magistrato in ordine alla pretesa ignoranza palesata nel capo
della normativa sugli espropri, in riferimento all’esercizio della funzione
<<.. con minore destrezza e capacità di un qualunque neofita uditore
giudiziario' ed alla 'negligenza in diritto amministrativo ed anche
civile', ha, invece, reputato che travalicassero i limiti della continenza
le espressioni con le quali la persona stessa del magistrato veniva tacciata di
improntare il proprio agire funzionale a leggerezza, superficialità e vanità,
laddove veniva definito: “Magistrato di assalto', capace di 'soffiare
sul fuoco dell’arbitrio e dell’illegalità' e di arrogarsi 'un potere
che non gli spetta'. Mentre, quanto allo S. ed al D.L. , ha stimato che
fossero oggettivamente sproporzionate rispetto al concetto da rendere le
espressioni 'Scrocconi e faccendieri', di per sé alludenti a persone
animate da intenti loschi e biecamente speculativi, e che, in tal modo, si
traducessero in un gratuito attacco alle loro persone. Ne deriva che in
nessun modo è censurabile la puntuale motivazione resa dal Collegio di appello
in punto di valutazione della concreta portata offensiva delle espressioni
ritenute lesive della reputazione delle parti civili; men che meno per il
dedotto vizio di travisamento della prova, che, a mente dell’autorevole
insegnamento di questa Corte, sussiste esclusivamente allorché il giudice del
merito abbia fondato il proprio convincimento su di una prova inesistente
ovvero su di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello
reale, perché attinente ad un oggetto definito ovvero alla proposizione di un
dato storico semplice e non opinabile: vizio che, dunque, non attinge
l’interpretazione del risultato della prova, insindacabile se non
manifestamente illogica ancorché astrattamente suscettibile di condurre a
risultati diversi (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 - dep. 02/07/1997, Dessimone
e altri, Rv. 207945). Nondimeno,
vertendosi, nel caso scrutinato, in ipotesi di riforma da parte del giudice di
appello di una decisione assolutoria emessa in primo grado, il secondo giudice,
con la rigorosa e penetrante analisi critica cui ha sottoposto le questioni decisive
sottopostegli, che ha accompagnato con una completa e convincente motivazione,
si è attenuto all’obbligo, che in siffatta evenienza gli incombeva, di
dimostrare specificamente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli
argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, dando ragione delle
diverse scelte compiute in ordine alla valutazione delle prove mediante il
riferimento a dati fattuali determinati idonei a sostenere il convincimento
opposto rispetto a quello espresso dal Tribunale (Sez. 5, n. 35762 del
05/05/2008 - dep. 18/09/2008, P.G. in proc. Aleksi e altri, Rv. 24116901). Sicché la
doglianza di parte ricorrente, nei termini in cui è stata formulata, mira ad
ottenere da questa Corte una non consentita 'rilettura' degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, mediante la
prospettazione di una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze
processuali, e come tale va respinta. 2. Illustrato il registro cui si è
attenuta la Corte territoriale nella ricostruzione e nella valutazione del
compendio delle prove, stima il Collegio infondato anche il motivo di gravame
agitato dal ricorrente relativo alla mancata applicazione da parte del giudice
di appello della scriminante di cui all’art. 51 cod.pen., riconducibile all’esercizio
del diritto di critica nei confronti dell’operato delle parti civili
nell’ambito della vicenda giudiziaria '(omissis) '. Il diritto di
critica, quale espressione della libertà di manifestazione del proprio
pensiero, garantita dall’art. 21 Cost., così come dall’art. 10 della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, si traduce, in effetti,
nell’espressione di un giudizio o di un’opinione personale dell’autore, e, come
ricordato dallo stesso giudice della sentenza impugnata, l’accertamento della
scriminante che ha ad oggetto il suo esercizio richiede la verifica della
sussistenza dei tre requisiti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità: la
verità, l’interesse pubblico del fatto cui si riferisce la propalazione e la
continenza (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014 - dep. 20/08/2014, P.M. in proc.
Surano, Rv. 26112201; Sez. 5, n. 30877 del 07/07/2006 dep. 19/09/2006, Nanetti,
Rv. 235222; Sez. 5, n. 9373 del 30/11/2005 - dep. 17/03/2006, Sorbo ed altro,
Rv. 23388701); e, proprio con riferimento all’ultimo di tali requisiti, nel
caso scrutinato non è invocabile la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen.. 2.1. Il limite
immanente all’esercizio del diritto di critica è, invero, il rispetto della
dignità altrui, non potendo lo stesso costituire l’occasione per gratuiti
attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale: (Sez.
5, n. 4938 del 28/10/2010 - dep. 10/02/2011, P.M. in proc. Simeone e altri, Rv.
24923901): non, potendosi, ritenere cioè coperto dalla scriminate evocata l’uso
di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona in quanto tale
e che, siccome gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodano in una
aggressione verbale del soggetto criticato (Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011 -
dep. 13/04/2011, Dessì e altro, Rv. 250174; Sez. 5, n. 29730 del 04/05/2010 -
dep. 28/07/2010, Andreotti, Rv. 24796601). Tanto comporta che
siano riconducibili nel perimetro fenomenologico dell’anzidetto diritto anche
giudizi aspri sull’operato del destinatario delle espressioni, sempre che siano
riferibili alle circostanze in cui l’operato medesimo si è dispiegato, ma non
gli argumenta ad hominem: il che è a dire che la situazione fattuale rispetto
alla quale si polemizza non può costituire lo spunto per trascendere in attacchi
a qualità o modi di essere della persona assumendo le connotazioni di una
valutazione di discredito in termini generali della persona criticata (Sez. 5,
n. 15060/2011, Dessì e altro, Rv. 25017401, cit.). 2.2. Sulla base
dei principi enunciati, correttamente la Corte territoriale ha evidenziato come
la definizione di S. e D.L. come 'Scrocconi e faccendieri” e di W. come:
'Magistrato di assalto', capace di 'soffiare sul fuoco
dell’arbitrio e dell’illegalità' e di arrogarsi 'un potere che non
gli spetta' abbia costituito l’espressione non di un mero giudizio critico
negativo sul loro operato in rapporto alla vicenda “(omissis) ”, ma di una
stigmatizzazione di loro qualità personali socialmente riprovate, che ha
determinato la lesione della loro reputazione. Pur considerando, quindi, il
contesto acceso ed acrimonioso nel quale si sono inserite le espressioni
censurate, esse superano senz’altro il limite della continenza del diritto di
critica, presentandosi come gratuitamente vulneranti la dignità delle persone che
ne sono state destinatarie. 2.3. Deve
oltretutto affermarsi, con peculiare riguardo alle espressioni riferite al
magistrato W.H.J. , che, secondo la linea interpretativa di questa Corte,
l’esercizio del diritto di critica giudiziaria che si appunti sull’operato di
un magistrato dell’Ufficio del Pubblico Ministero non può consistere nella
gratuita attribuzione di malafede, risolvendosi, altrimenti, in una lesione
della reputazione professionale e della intangibilità della sfera di
onorabilità del magistrato medesimo (Sez. 5, n. 28661 del 09/06/2004 - dep.
30/06/2004, Sinn ed altro, Rv. 22931201): esula, infatti, dalla scriminante del
diritto di critica, in quanto si risolve in un attacco morale alla persona,
l’accusa, rivolta a chi conduce le indagini, di asservimento della funzione
giudiziaria ad interessi personali - ancorché di 'vanità' - o di
strumentalizzazione della stessa per finalità estranee a quelle proprie, in
ragione dei doveri istituzionali, all’operato del pubblico ministero. (Sez. F,
n. 29453 del 08/08/2006 - dep. 30/08/2006, Sgarbi, Rv. 23506901; Sez. 5, n.
10135 del 18/02/2002 - dep. 12/03/2002, Gutierres, Rv. 22168401). Ciò risulta
del tutto conforme anche a quanto affermato dalla Corte EDU che, con la
sentenza del 02/11/2006, Kobenter e Standard c/ Austria, ha affermato - in un
caso di diffamazione a mezzo stampa - la necessità che in una società
democratica il pubblico sia informato del funzionamento del sistema
giudiziario, al fine di verificare se i giudici assolvano le loro alte responsabilità
in modo conforme alle finalità per le quali sono stati investiti; tuttavia
l’apparato giudiziario deve essere tutelato da attacchi distruttivi
essenzialmente infondati, che minano la fiducia del pubblico nella giustizia,
soprattutto in considerazione del fatto che i giudici chiamati in causa hanno
un dovere di discrezione che impedisce loro di poter replicare alle accuse
subite (Sez. 5, n. 41671 del 07/07/2016 - dep. 04/10/2016, Menzione, Rv.
26804301). Nella specie il
giudice di merito, uniformandosi a questi principi di diritto, ha saputo
discernere le espressioni, pur aspre e colorite, inerenti a giudizi formulati
sull’operato del magistrato, costituenti come tali legittima estrinsecazione
del diritto di critica, da quelle che, esulando dal perimetro dell’oggetto
della polemica, trasmodavano in un inutile attacco alla persona stessa di W. . 3. Il ricorso,
pertanto, va respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
e condanna il ricorrente al pagamento al pagamento delle spese processuali. |