

Alessandro Auletta
Eccesso
di potere giurisdizionale e giudizio di ottemperanza*
di Alessandro Auletta
Cass.
S.U., 2 febbraio 2015, n. 1823
Processo
amministrativo – Ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione – Eccesso
di potere giurisdizionale – Giudizio di ottemperanza – Limiti.
1. Non
è ravvisabile un eccesso di potere giurisdizionale - non venendo in questione i
limiti esterni della giurisdizione ma solo il modo in cui questa è stata in
concreto esercitata - nel fatto che il giudice amministrativo, nell'ambito di
un giudizio di ottemperanza originariamente instaurato per denunciare la
mancata esecuzione di una sentenza di annullamento della deliberazione di
conferimento di un incarico giudiziario direttivo da parte del Consiglio
superiore della Magistratura, abbia accolto un ricorso per motivi aggiunti
proposto dall'interessato per far accertare che una nuova deliberazione, successivamente
adottata dallo stesso Consiglio superiore della Magistratura, è elusiva
dell'anzidetto giudicato. Neppure sono ravvisabili eccessi di potere
giurisdizionale - vertendosi sempre solo sul modo in cui la giurisdizione è
stata in concreto esercitata - nel fatto che, nel suindicato giudizio di
ottemperanza, il giudice amministrativo non abbia individuato elementi
significativi di novità nella rinnovata deliberazione del Consiglio superiore
della Magistratura, riscontrando perciò in essa gli estremi dell'elusione del
giudicato di annullamento della deliberazione precedente, e che abbia
esercitato i conseguenti poteri sostitutivi, mediante designazione di un
commissario ad acta (in fattispecie anteriore all'entrata in vigore delle
modifiche apportate dall'art. 2, comma 4, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90,
convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, all'art. 17, comma 2, della l.
24 marzo 1958, n. 195), nonostante uno dei candidati concorrenti all'incarico
direttivo fosse prossimo al pensionamento.
Estratto
delle motivazioni.
[...Omissis...]
1. Il ricorso
principale del Csm, nella parte riservata all'esposizione dei motivi, contiene
una premessa in cui si sottolinea come erroneamente nell'impugnata sentenza si
parli di 'reiterata inottemperanza dell'Amministrazione al
giudicato'. Ma il precedente giudizio promosso dal Dott. D.L. per
lamentare l'inottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio
di Stato, che aveva annullato la prima designazione del Dott. M. alla carica
dirigenziale in questione, si era concluso con il rigetto della domanda. La
rinnovata nomina del medesimo Dott. M. era stata sì annullata, ma per autonomi
vizi di legittimità di quell'atto, e non perchè elusiva del precedente
giudicato, sicchè solo nella sentenza qui impugnata il Consiglio di Stato aveva
ravvisato gli estremi di un'inottemperanza da parte del Csm e non si sarebbe
quindi potuto parlare di 'reiterata inottemperanza'.
Tale rilievo critico è
certamente esatto, come agevolmente si desume dalla esposizione dei fatti sopra
riferiti, ma non appare in alcun modo decisivo ai fini del'accoglimento del
ricorso, nè d'altronde lo stesso ricorrente lo prospetta come specifico ed
autonomo motivo di ricorso.
Fermo perciò restando
che la sentenza in questa sede impugnata è la prima ad aver affermato
un'inottemperanza del Csm nella vicenda in esame, e che siffatta inottemperanza
è riferibile unicamente al giudicato formatosi all'esito della sentenza
pronunciata dal Consiglio di Stato il 24 maggio 2013, n.
2824, con cui era stata annullata la deliberazione adottata dal Csm il
27 luglio 2011, conviene senz'altro dar conto dei motivi del ricorso principale
e di quello incidentale.
2. Il ricorso
principale proposto dal Csm consta, come già accennato, di due motivi.
2.1. Il ricorrente,
addebitando al Consiglio di Stato un eccesso di potere giurisdizionale
nell'adozione delle modalità attuative del giudicato dianzi menzionato,
denuncia col primo motivo la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112
c.p.a., comma 3, e art. 114 c.p.a., nonchè dell'art. 105 Cost..
A sostegno di tale
doglianza si sottolinea nel ricorso come l'impugnata sentenza, nel suggerire
che l'ottemperanza alla precedente decisione giurisdizionale con cui era stata
annullata la nomina del Dott. M. alla carica di presidente del Tribunale di
Velletri avrebbe dovuto indurre il Csm a designare per tale carica il
concorrente Dott. D.L., non si nasconda gli inconvenienti derivanti da tale
conferimento: inconvenienti dovuti al prossimo pensionamento del medesimo Dott.
D.L., non perciò in grado di assicurare una durata minima di permanenza nelle
funzioni presidenziali attribuitegli, ed al venir meno dell'attività
dirigenziale svolta ormai da anni in modo positivo dal Dott. M.. Il ricorrente
Csm lamenta però che, nondimeno, il Consiglio di Stato abbia dichiaratamente
voluto privilegiare l'interesse morale del singolo magistrato all'ottenimento
dell'incarico richiesto, a scapito dell'interesse pubblico, il cui sacrificio
sarebbe reso tanto più evidente per le peculiari modalità adottate al fine di
assicurare il conseguimento del risultato voluto dall'organo giudicante.
Viceversa, l'ottemperanza ad un giudicato destinato ad operare de futuro, quale
quello formatosi all'esito dell'annullamento del precedente conferimento
dell'incarico dirigenziale al Dott. M., avrebbe richiesto - a parere del
ricorrente - una valutazione di non contrarietà al pubblico interesse
dell'attività amministrativa volta a dare esecuzione a quel medesimo giudicato,
perchè, ove una siffatta esecuzione si ponga in contrasto con le finalità di
pubblico interesse cui ogni attività amministrativa deve pur sempre tendere, la
soddisfazione dell'interesse personale del singolo è semmai destinata ad
attuarsi su un diverso piano mediante rimedi di tipo risarcitorio.
2.2. Il secondo motivo
del ricorso principale è volto ulteriormente a denunciare un eccesso di potere
giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato, il quale avrebbe compresso
arbitrariamente la sfera delle attribuzioni che residuavano in capo al Csm pur dopo
l'annullamento della precedente nomina del Dott. M. alla presidenza del
Tribunale di Velletri.
Il ricorrente contesta
che il giudice dell'ottemperanza, nell'accertare l'eventuale elusione del
giudicato, possa individuare predeterminati limiti e vincoli cui sarebbe
soggetto il rinnovato esercizio del potere spettante all'amministrazione dopo
l'annullamento di un suo precedente atto. Viceversa, l'accertamento
dell'elusione - sempre a parere del Csm ricorrente - non potrebbe che esser
frutto di un giudizio da compiersi caso per caso, in relazione alle specificità
della singola vicenda, al solo scopo di stabilire se l'agire
dell'amministrazione sia stato mosso da un intento elusivo anzichè dalla cura
del pubblico interesse; valutazione, questa, che difetterebbe del tutto
nell'impugnata sentenza, le cui considerazioni in ordine ai titoli qualificanti
dell'uno e dell'altro candidato all'incarico dirigenziale in contesa si
risolverebbero in un'indebita invasione nella sfera dei compiti propri del
medesimo Csm.
3. Anche il ricorrente
incidentale Dott. M. imputa al Consiglio di Stato di aver violato i limiti
esterni della propria giurisdizione.
3.1. La violazione
risiederebbe, anzitutto, nel fatto stesso che siano stati presi in esame ed
accolti i motivi aggiunti con cui il Dott. D.L. aveva impugnato la
deliberazione medio tempore emessa dal Csm il 9 ottobre 2013, in tal modo
inammissibilmente ampliando la portata originaria della domanda, volta solo a
censurare la mancata adozione da parte del Csm di qualsiasi iniziativa
conseguente all'annullamento della precedente nomina del Dott. M. alla carica
di presidente del Tribunale di Velletri. La circostanza, poi, che nella
suaccennata deliberazione del 9 ottobre 2013 fosse stato espresso un giudizio
valutativo sorretto anche da argomentazioni nuove e diverse rispetto a quelle
poste a base della precedente nomina avrebbe consentito al giudice
amministrativo di vagliare semmai tale nuova deliberazione nell'ambito di un
ulteriore giudizio di legittimità, ma non anche in sede di ottemperanza.
3.2. Col secondo
motivo il ricorrente incidentale si duole del fatto che il Consiglio di Stato,
dopo l'annullamento della precedente deliberazione del Csm per vizi di
motivazione, abbia circoscritto il potere dello stesso Csm di rinnovare il
proprio giudizio comparativo tra i due candidati entro limiti così angusti da
lederne le prerogative costituzionali, quasi si trattasse ormai di un potere
vincolato da esercitare 'sotto dettatura' del giudice amministrativo,
erroneamente affermando che nell'ultima deliberazione del Csm non vi erano
elementi valutativi di rilevante novità e trascurando completamente di
considerare le ragioni di pubblico interesse che militavano contro il
conferimento dell'incarico dirigenziale ad un magistrato, quale il Dott. D.L.,
ormai prossimo al pensionamento.
4. Conviene sgomberare
subito il campo dalla censura, contenuta nel primo motivo del ricorso
incidentale, con la quale si sostiene che il Consiglio di Stato non avrebbe
potuto esaminare, nè quindi accogliere, il ricorso per motivi aggiunti a suo
tempo proposto dal Dott. D.L. per denunciare l'elusione del giudicato insita
nella deliberazione adottata dal Csm il 9 ottobre 2013.
Non occorre qui
soffermarsi a stabilire se sia o meno fondato l'assunto secondo il quale,
avendo il Dott. D.L. originariamente investito il Consiglio di Stato con un
ricorso volto unicamente a denunciare l'inerzia del Csm nel dare esecuzione
alla più volte citata sentenza n. 2428 dello stesso Consiglio di Stato, non
sarebbe stato possibile trasformare in corso di causa l'oggetto del giudizio
deducendo la nullità della sopravvenuta deliberazione del Csm per elusione del
giudicato. Se anche siffatta doglianza fosse fondata, sarebbe comunque con
certezza da escludere che essa attenga ai limiti esterni della giurisdizione
spettante al giudice amministrativo: cioè che si ponga, a tal riguardo, una
questione di giurisdizione riconducibile alla previsione dell'art. 362 c.p.c.,
comma 1, e dell'art. 110 c.p.a., giacchè è comunque a quel giudice che spetta
di provvedere in tema di ottemperanza, tanto in caso di mancata esecuzione
quanto in caso di elusione del precedente giudicato amministrativo. La
circostanza che il Consiglio di Stato, in un procedimento già pendente dinanzi
a sè per omessa esecuzione di un giudicato, abbia dato ingresso ad un ricorso
per motivi aggiunti riguardanti la pretesa elusione del medesimo giudicato
potrebbe quindi configurare - anche se si volesse dar credito alla censura
formulata in proposito dal ricorrente incidentale - un error in procedendo, per
non esser stata rilevata una ragione d'inammissibilità dei suddetti motivi
aggiunti, ma giammai un'ipotesi di difetto di giurisdizione.
5. L'esame degli
ulteriori profili di doglianza contenuti nel ricorso incidentale può essere condotto
unitamente a quello del ricorso principale, essendo detti profili di doglianza
in larga parte sovrapponibili ai motivi esposti a sostegno del medesimo ricorso
principale 5.1. Le censure formulate dai ricorrenti impongono, anzitutto, di
soffermarsi brevemente su un tema che già in più occasioni è stato portato
all'attenzione di queste sezioni unite al fine di verificare eventuali
sconfinamenti del giudice amministrativo dai limiti della sua potestà
giurisdizionale: il tema del potere di apprezzamento e valutazione che residua
in capo al Csm chiamato ad emettere un provvedimento di sua competenza dopo il
passaggio in giudicato di una sentenza del giudice amministrativo che abbia
annullato un precedente provvedimento adottato dal medesimo Csm, e dei termini
entro i quali l'esercizio di un tale potere sia sindacabile da parte del
medesimo giudice amministrativo nell'ambito di un successivo giudizio di
ottemperanza promosso da chi lamenti un'elusione del giudicato.
A tal riguardo queste
sezioni unite hanno già avuto modo di ricordare a più riprese che la speciale
giurisdizione di ottemperanza affidata al giudice amministrativo presenta
caratteri peculiari, in virtù dei quali l'ingerenza del giudice nel merito
dell'agire della pubblica amministrazione non è in via di principio esclusa,
giacchè al medesimo giudice amministrativo è espressamente attribuito un potere
di giurisdizione anche di merito (art. 7 c.p.a., comma 6, e art. 134 c.p.a.),
con possibilità sia di procedere alla 'determinazione del contenuto dei
provvedimento amministrativo' ed alla 'emanazione dello stesso in
luogo dell'amministrazione' (art. 114 c.p.a., comma 4, lett. a), sia di
'sostituirsi all'amministrazione' (art. 7 c.p.a., comma 6) nominando,
ove occorra, un commissario ad acta a norma dell'art. 114 c.p.a., comma 4,
lett. d, (si veda, ad esempio, Sez. Un. 24 febbraio 1997, n. 1671).
Un eccesso di potere
giurisdizionale del giudice amministrativo, per invasione della sfera riservata
al potere discrezionale della pubblica amministrazione, non potrebbe perciò
essere certamente ravvisato nel fatto in sè che il giudice dell'ottemperanza,
rilevata la violazione o l'elusione del giudicato amministrativo, abbia
adottato (o ordinato di adottare) quei provvedimenti che l'amministrazione
inadempiente avrebbe dovuto già essa stessa attuare. Nè a ciò è di ostacolo la
circostanza che l'amministrazione cui viene imputata la violazione o l'elusione
del giudicato sia, come nel caso del Consiglio superiore della Magistratura, un
organo di rilevanza costituzionale, come già ebbe a precisare la Corte
costituzionale nella sentenza 15 settembre 1995, n. 435. Ed è appena il caso di
aggiungere che, nella fattispecie in esame, non sono applicabili le particolari
limitazioni apportate al potere del giudice dell'ottemperanza, proprio in tema
di incarichi giudiziari direttivi e semidirettivi conferiti dal Csm, dal D.L.
24 giugno 2014, n. 90, art. 2, comma 4, (convertito dalla L. 11 agosto 2014, n.
114), non ancora in vigore quando è stata pronunciata la qui impugnata sentenza
del Consiglio di Stato.
Ciò posto, è chiaro
che quando l'inottemperanza sia stata invocata denunciando comportamenti
elusivi del giudicato o manifestamente in contrasto con esso, afferiscono ai
limiti interni della giurisdizione gli eventuali errori imputati al giudice
amministrativo nell'individuazione degli effetti conformativi del giudicato
medesimo, nella ricostruzione della successiva attività dell'amministrazione e
nella valutazione di non conformità di questa agli obblighi dal giudicato derivanti.
Si tratta, invece, dei limiti esterni di detta giurisdizione quando è posta in
discussione la possibilità stessa, nella situazione data, di far ricorso alla
giurisdizione di ottemperanza, ogni qual volta sia denunciato l'esercizio
indebito ad opera del Consiglio di Stato di quella speciale forma di
giurisdizione, con i conseguenti riflessi sul merito amministrativo, in
fattispecie suscettibili invece soltanto di essere trattate del giudice
amministrativo nell'ambito della normale giurisdizione di legittimità (o
eventualmente nell'ambito della sua giurisdizione esclusiva), così come in
qualsiasi altra situazione in cui il giudizio di ottemperanza, estrinsecandosi
nell'emanazione di un ordine di fare (o di non fare) rivolto dal giudice
all'amministrazione, si sia esplicato al di fuori dei casi nei quali un
siffatto ordine poteva essere impartito (cfr. in tal senso, in particolare,
Sez. un. 9 novembre 2011, n. 23302).
Ne consegue - come è
stato ben puntualizzato anche da Sez. un. 19 gennaio 2012, n. 736 - che, ove le
censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino
l'interpretazione del giudicato, l'accertamento del comportamento tenuto
dall'amministrazione e la valutazione di conformità di tale comportamento
rispetto a quello che si sarebbe dovuto tenere, gli eventuali errori nei quali
il giudice amministrativo possa essere incorso in tale opera di
interpretazione, accertamento e valutazione, inerenti al contenuto essenziale e
tipico del giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa
e non integrano quell'eccesso di potere giurisdizionale che solo è sindacabile
dalla Corte di cassazione.
Ma la giurisdizione di
ottemperanza non si esaurisce nell'accertamento del carattere eventualmente
elusivo del provvedimento con cui l'amministrazione avrebbe dovuto dare
esecuzione al giudicato e nella conseguente dichiarazione di nullità di detto
provvedimento. Esso ha, invece, anche una significativa funzione esecutiva, ed
è in particolare con riferimento a questa funzione che occorre tener conto del
fatto che il giudicato amministrativo non può essere considerato separatamente
dalla fattispecie su cui incide: perchè una cosa è il giudicato che tocca
vicende chiuse, delle quali cioè l'intervento del giudice è destinato a segnare
la conclusione, altra cosa è la sentenza che, viceversa, riapre una situazione
che il provvedimento annullato aveva inteso definire, dischiudendo nuove
prospettive per il futuro. Se si tratta di situazioni orientate al passato, che
il provvedimento annullato aveva definito, il giudicato pone termine alla
vicenda; ma se, viceversa, si tratta di situazioni orientate al futuro, il
giudicato accerta fatti e rapporti con riferimento alla data di adozione del
provvedimento, e ciò impone di vagliare i limiti entro i quali l'amministrazione
possa o debba tener conto di eventuali nuovi elementi di fatto e di diritto che
la sentenza passata in giudicato non aveva avuto nè titolo nè modo per
considerare.
Perciò, come già ben
puntualizzato nella citata sentenza n. 23302/2011
di questa corte, quando si predica l'irrilevanza delle sopravvenienze di
diritto o di fatto posteriori al giudicato (a differenza di quelle intervenute
nelle more della definizione del giudizio), che non possono ormai più incidere
sull'assetto degli interessi cui il giudicato medesimo ha posto capo, e si
sottolinea come il decorso del tempo non possa andare a scapito della parte
incolpevole, bisogna aggiungere che, ogni qual volta siano intervenute in
seguito circostanze per le quali non risulti ormai più possibile per
l'amministrazione fare quel che alla data del ricorso per ottemperanza si
sarebbe eventualmente potuto fare (o viceversa), tali circostanze saranno
comunque immancabilmente destinate a riflettersi anche sugli effetti e sulla
concreta attuabilità del precedente giudicato. Proprio per questa ragione, del
resto, il legislatore ha ampliato l'area del possibile risarcimento del danno
(che può, all'occorrenza, assumere i connotati del danno da perdita di chance),
espressamente ricollegandolo anche all'ipotesi della violazione o dell'elusione
del giudicato.
La conseguenza è che
il giudicato amministrativo formatosi su un provvedimento col quale il Csm
abbia proceduto al conferimento di un incarico giudiziario ha l'effetto
d'imporre alla medesima amministrazione di provvedere al rinnovo della relativa
procedura, volta al conferimento di quell'incarico, ma solo se e fino a quando
l'incarico sia ancora conferibile e la procedura sia ancora espletabile. Venuta
meno tale condizione, cessa per ciò stesso non solo l'obbligo, ma la
possibilità stessa per l'amministrazione di provvedere in tal senso, fermo
l'eventuale diritto al risarcimento per chi abbia visto indebitamente frustrate
le proprie legittime aspirazioni. Donde l'esorbitanza del provvedimento di
ottemperanza dai limiti del relativo potere giurisdizionale - esercitato in una
situazione che non lo avrebbe consentito e per finalità ad esso estranee - in
quanto volto allo svolgimento di un'attività meramente virtuale ('ora per
allora') che la medesima amministrazione non disporrebbe più il potere di
compiere e che perciò, a maggior ragione, esula anche dai poteri
giurisdizionali (benchè estesi al merito) del giudice dell'ottemperanza.
5.2. Dalle linee
giurisprudenziali così tracciate non vi sarebbe qui alcuna ragione per
distaccarsi, tanto più che neppure la difesa del controricorrente ne mette in
discussione il fondamento. Ma si è ritenuto di doverle espressamente richiamare
perchè, come entrambi i ricorrenti denunciano, nella motivazione dell'impugnata
sentenza del Consiglio di Stato vi sono alcuni passaggi che sembrerebbero
volersene invece discostare, senza peraltro offrire argomentazioni alternative
adeguatamente approfondite. Va detto subito, però, che l'opinabilità dei
suaccennati passaggi motivazionali (che sembrano postulare l'eventualità del
totale esaurimento di ogni potere conformativo in capo all'amministrazione,
senza in alcun modo distinguere tra il giudicato che esaurisca le questioni
dibattute e quello dal quale invece scaturisca la necessità di ulteriori
valutazioni, e paiono implicare l'irrilevanza assoluta, ai fini dell'esecuzione
del giudicato, di qualsiasi situazione venutasi medio tempore a determinare),
in realtà non si riflette in modo decisivo sull'esito del giudizio di ottemperanza
di cui qui si discute nè sulle effettive ragioni che lo hanno determinato.
5.3. Il Consiglio di
Stato, nella sentenza qui impugnata, afferma esplicitamente di volersi attenere
a principi di diritto espressi dall'Adunanza plenaria con la sentenza n. 2 del
2013; ed in essa non si manca di precisare che 'l'esigenza di certezza,
propria del giudicato, ossia di un assetto consolidato degli interessi
coinvolti, non può proiettare l'effetto vincolante nei riguardi di tutte le
situazioni sopravvenute di riedizione di un potere, ove questo, pur prendendo
atto della decisione del giudice, coinvolga situazioni nuove e non contemplate
in precedenza'; che, viceversa, 'ove la riedizione del potere... si
concreti nel valutare differentemente, in base ad una nuova prospettazione,
situazioni che, esplicitamente o implicitamente, siano state oggetto di esame
da parte del giudice...
non può escludersi in
via generale la rivalutazione dei fatti sottoposti all'esame del giudice; che
non è perciò condivisibile l'opinione di coloro i quali si fanno paladini
'del divieto di ogni riedizione del potere a seguito di un giudicato
sfavorevole', essendo tale tesi 'contrastante con la salvezza della
sfera di autonomia e di responsabilità dell'amministrazione, nè potendosi in
questo senso interpretare le pronunce rese in argomento della Corte Europea dei
Diritti dell'Uomo. Si sottolinea, tuttavia, che 'la riedizione del potere
(da parte dell'amministrazione) deve essere assoggettata a precisi limiti e
vincoli, sia in quanto 'l'accertamento definitivo del giudice relativo
alla sussistenza di determinati presupposti relativi alla pretesa del
ricorrente non potrà non essere vincolante nei confronti dell'azione
amministrativa', in coerenza con la citata giurisprudenza della Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo, secondo cui 'l'amministrazione, in sede di
esecuzione di una decisione esecutiva del giudice amministrativo, non può
rimettere in discussione quanto accertato in sede giurisdizionale (in questo
senso, cfr. CEDU, 18 novembre 2004, Zazanis c. Grecia), sia perchè, anche dove
non siano i fatti ad essere messi in discussione, bensì la loro valutazione, la
pubblica amministrazione è tenuta al rispetto di un principio di leale
collaborazione in forza del quale essa è vincolata a 'dare esecuzione
secondo buona fede alla decisione giurisdizionale amministrativa' avendo
'l'obbligo di soddisfare la pretesa del ricorrente vittorioso e di non
frustrare la sua legittima aspettativa con comportamenti elusivi'; con
l'ulteriore precisazione che la nuova operazione valutativa operata
dall'amministrazione non deve essere frutto di una gestione 'ondivaga e
contraddittoria del potere e in quanto tale contrastante, nella prospettiva
pubblicistica, con il principio costituzionale del buon andamento e, in quella
privatistica, con i principi di correttezza e buona fede'.
Dichiarando di voler
dare applicazione a siffatti principi nel caso in esame, il Consiglio di Stato
ha reputato che la precedente sentenza del 24 maggio 2013, n. 2824, avrebbe
definitivamente posto in luce l'illogicità dell'equiordinazione operata dal
Csm, sulla base degli elementi di giudizio a sua disposizione, tra la pregressa
attività organizzativa svolta dal Dott. M. presso il segretariato generale del
Tribunale di Roma e presso la Corte di cassazione, unicamente in materia
penale, nonchè dell'attività di studio da lui espletata presso la Corte
costituzionale, rispetto alle funzioni semidirigenziali e (temporaneamente)
dirigenziali esercitate per anni dal Dott. D.L. nello stesso Tribunale di Velletri
vuoi nel settore penale vuoi in quello civile. La deliberazione del Csm con cui
per la terza volta il Dott. M. è stato preferito al Dott. D.L. non avrebbe
però, sempre secondo la sentenza qui impugnata, nè evidenziato elementi nuovi
ai fini della comparazione, nè prospettato profili di valutazione dei medesimi
elementi che possano dirsi davvero ulteriori e diversi rispetto a quelli già
prima considerati. Al Csm, insomma, si addebita di essersi limitato ad una
'ri-enfatizzazione di elementi già ritenuti non conducenti e comunque
attinti dal giudicato', anzichè 'limitarsi a prendere atto
dell'assenza di ulteriori profili valutabili, conformandosi alle indicazioni
del giudicato medesimo'. Donde la nullità della nuova deliberazione, anche
in quanto le asserite ulteriori ragioni per preferire la candidatura del Dott.
M. rispetto al concorrente - specificamente le particolari competenze nel
settore informatico - risulterebbero pur sempre riferite all'attività
organizzativa svolta dal magistrato presso il Tribunale di Roma, ricadendo
perciò in un ambito di valutazione già considerato insufficiente dal precedente
giudicato. Il che porta in conclusione il Consiglio di Stato a negare che le
considerazioni svolte dal Csm in ordine alla competenza informatica del Dott.
M. costituiscano 'elementi di novità valutativa rilevanti' e siano
quindi idonee ad escludere l'elusività del provvedimento rispetto al precedente
giudicato.
5.4. Le critiche che
in entrambi i ricorsi vengono mosse a siffatte argomentazioni, fondate o meno
che siano nel merito, non mettono in evidenza alcuno sconfinamento dai limiti
esterni della giurisdizione del Consiglio di Stato, e non possono quindi
condurre all'accoglimento dei ricorsi proposti per motivi attinenti alla
giurisdizione.
La questione se sia
possibile individuare in via generale vincoli predeterminati, più o meno
stringenti, nell'esercizio del potere dell'amministrazione di riesaminare e
soppesare le circostanze in base alle quali essa è tenuta a rinnovare una
deliberazione precedentemente annullata con effetti di giudicato, o se invece
l'eventuale carattere elusivo della rinnovata espressione del potere
amministrativo sia da verificare caso per caso, si risolve in un quesito del
tutto astratto. Il Consiglio di Stato, come s'è visto, al di là delle più o
meno convincenti affermazioni di principio e del richiamo alla citata sentenza
dell'Adunanza plenaria, non ha mancato di considerare i termini specifici e
concreti della singola fattispecie sottoposta alla sua verifica, ed ha reputato
che, nel confermare la nomina del Dott. M. preferendolo al Dott. D. L., il Csm
avesse finito per replicare la propria precedente deliberazione già annullata,
non ravvisandosi negli ulteriori argomenti un reale carattere di novità e di
significatività. Da questo giudizio, ovviamente, si può dissentire, o viceversa
si può convenire con esso; ma appare innegabile che, nell'esprimerlo, il
giudice amministrativo abbia adempito il compito che gli compete quale giudice
dell'ottemperanza. Compito che, come già si è sottolineato, proprio in ciò
consiste: nel verificare se il provvedimento adottato dall'amministrazione dopo
l'annullamento di una propria precedente deliberazione si atteggi eventualmente
in modo tale da eludere l'obbligo di ottemperare alla sentenza che quella
precedente deliberazione ha annullato.
Non è consentito
censurare in questa sede il modo in cui il giudice dell'ottemperanza ha
esercitato il suo potere di valutare il comportamento del Csm per stabilire se,
nel merito, quel comportamento sia stato elusivo. Nè fuoriesce dai limiti
interni della giurisdizione d'ottemperanza lo stabilire se, o entro quali
eventuali limiti, il denunciato comportamento elusivo dell'amministrazione
debba essere connotato anche da un elemento intenzionalità soggettiva.
5.5. L'impugnata
sentenza si sofferma anche sul prossimo pensionamento del Dott. D.L. per
escludere che se ne possa trarre argomento contrario all'accoglimento del
ricorso in ottemperanza da costui proposto. Il Consiglio di Stato lascia
intendere che, a suo giudizio, neppure il già avvenuto collocamento in
quiescenza basterebbe a far venire meno l'interesse morale del ricorrente ad
ottenere una deliberazione conforme al giudicato, in quanto il decorso del
tempo non può andare a scapito della parte che ha ragione. Questo rilievo - in
sè non condivisibile per le ragioni già prima ricordate - resta però del tutto
marginale, risultando superato dalla constatazione che nessuna preclusione
poteva dirsi intervenuta a questo riguardo, giacchè in effetti non era ancora maturato
il pensionamento dell'interessato, e che il diritto di quest'ultimo alla
corretta esecuzione del giudicato favorevole non avrebbe perciò potuto essere
sacrificato soltanto in considerazione di un interesse pubblico che lo
sconsiglierebbe; e ciò tanto più che anche il dare corretta esecuzione alle
sentenze passate in giudicato è un modo di assicurare il buon andamento
dell'amministrazione e quindi risponde, in un'ottica generale, all'interesse
pubblico.
Posta la questione in
questi termini, non è dato neppure qui ravvisare uno sconfinamento del giudice
amministrativo dai limiti esterni della giurisdizione a lui spettante.
Per quanto possa
apparire opinabile la svalutazione del pubblico interesse, insita
nell'affermazione dianzi riportata, si tratta pur sempre di una questione che
attiene al modo in cui il giudice amministrativo - il quale, giova ripeterlo, è
dotato in quest'ambito una giurisdizione estesa al merito - ha esercitato il
suo potere di apprezzamento del suaccennato pubblico interesse, e di come ha
ritenuto di doverlo contemperare con l'interesse individuale del ricorrente
leso dalla ravvisata elusione del giudicato a costui favorevole.
La prossimità del
Dott. D.L. all'età di pensione, in altri termini, avrebbe eventualmente potuto
indurre il Consiglio di Stato ad esercitare in diverso modo i poteri che
competono al giudice dell'ottemperanza nel sostituirsi all'amministrazione
inadempiente (o male adempiente). Di per sè sola, tuttavia, quella circostanza
non aveva privato la medesima amministrazione del potere-dovere di provvedere
al rinnovo del giudizio comparativo tra i due candidati (entrambi ancora in
servizio) concorrenti alla carica dirigenziale, e non è quindi possibile
sostenere che il giudice dell'ottemperanza non disponesse del corrispondente
potere sostitutivo. Ma l'eventuale cattivo esercizio di un potere spettante ad
un giudice, come già più volte ricordato, non è riconducibile alla nozione di
eccesso di potere giurisdizionale, definito anche quale violazione dei limiti
esterni della giurisdizione, che postula invece l'esercizio di un potere di cui
il giudice non disponga affatto.
6. Tanto il ricorso
principale quanto quello incidentale debbono, pertanto, essere rigettati in
base ai principi di diritto qui appresso enunciati.
'Non è ravvisabile
un eccesso di potere giurisdizionale - non venendo in questione i limiti
esterni della giurisdizione ma solo il modo in cui questa è stata in concreto
esercitata - nel fatto che il giudice amministrativo, nell'ambito di un
giudizio di ottemperanza originariamente instaurato per denunciare la mancata
esecuzione di una sentenza di annullamento della deliberazione di conferimento
di un incarico giudiziario direttivo da parte del Consiglio superiore della
Magistratura, abbia accolto un ricorso per motivi aggiunti proposto
dall'interessatola per far accertare che una nuova deliberazione,
successivamente adottata dallo stesso Consiglio superiore della Magistratura, è
elusiva dell'anzidetto giudicato.
Neppure sono
ravvisabili eccessi di potere giurisdizionale - vertendosi sempre solo sul modo
in cui la giurisdizione è stata in concreto esercitata - nel fatto che, nel
suindicato giudizio di ottemperanza, il giudice amministrativo non abbia
individuato elementi significativi di novità nella rinnovata deliberazione del
Consiglio superiore della Magistratura, riscontrando perciò in essa gli estremi
dell'elusione del giudicato di annullamento della deliberazione precedente, e
che abbia esercitato i conseguenti poteri sostitutivi, mediante designazione di
un commissario ad acta (in fattispecie anteriore all'entrata in vigore delle
modifiche apportate dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 2, comma 4, convertito
dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, alla L. 24 marzo 1958,
n. 195, art. 17, comma 2), nonostante uno dei candidati concorrenti
all'incarico direttivo fosse prossimo al pensionamento'.
[...Omissis...]
Commento.
La
pronuncia in rassegna affronta il tema dell’eccesso di potere giurisdizionale,
con segnato riferimento alla giurisdizione di ottemperanza. In questo ambito,
infatti, la nozione di eccesso di potere giurisdizionale assume una particolare
curvatura, in considerazione della latitudine dei poteri del Giudice
dell’ottemperanza, onde si richiede una trattazione specifica, che tenga sì
conto delle elaborazioni generali sulla nozione di eccesso di potere
giurisdizionale (per le quali si rinvia, in giurisprudenza, alla fondamentale –
per quanto criticata e criticabile – Cass. S.U. 23 dicembre 2008, n. 30254, che
ha segnato una nuova “stagione” del ricorso per “motivi di giurisdizione”; in
dottrina, di recente, cfr. Mazzamuto M.,
L’eccesso di potere giurisdizionale del
giudice della giurisdizione, in Dir.
Proc. Amm., 2012, 1677 e ss., nonché con riferimento alla pronuncia prima
citata, se si vuole, il mio Risarcimento
del danno e abuso della giurisdizione. Ancora su Cass. S.U., 23 dicembre 2008,
n. 30254, in www.giustamm.it;
vedi inoltre quanto appresso ricordato da Gabriele Sabato), ma anche delle
peculiarità del giudizio di ottemperanza, specie laddove vengano in rilievo
delibere assunte dal Consiglio Superiore della Magistratura
È
assolutamente fondamentale procedere ad una attenta ricostruzione del casus decisus, al fine di comprendere se
l’arresto in commento si pone o meno in linea di continuità con la pregressa
giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione su tale specifica
questione.
La
vicenda, molto complessa, ha riguardato il conferimento di un incarico
direttivo da parte del Consiglio Superiore della Magistratura (d’ora innanzi anche:
C.S.M.), al quale ambivano due candidati, che per comodità chiameremo Primo e
Secondo.
In
prima battuta l’organo di autogoverno, previa valutazione comparativa dei
titoli degli aspiranti, attribuiva l’incarico di Presidente di Tribunale a
Primo, preferendolo a Secondo (con delibera dell’11.11.2009).
Quest’ultimo
ricorreva al Tar, che annullava la delibera di conferimento dell’incarico; la
pronuncia veniva confermata in Consiglio di Stato: il C.S.M. non aveva
correttamente speso la propria discrezionalità (tecnica) nella individuazione
del candidato più idoneo. Sennonché, in sede di riedizione del potere di
scelta, Primo risultava nuovamente preferito a Secondo. Il quale, pertanto,
proponeva due ricorsi al Tar: un primo ricorso diretto ad ottenere l’annullamento
della seconda delibera del C.S.M. (adottata in data 27.7.2011); l’altro per
lamentare l’elusione del giudicato amministrativo di annullamento formatosi in
relazione alla prima delibera (annullata dal Tar, con sentenza confermata dal
Consiglio di Stato). Il Tar adito rigettava entrambi i ricorsi.
In
appello, il ricorso dove veniva lamentata l’elusione del giudicato era
respinto, mentre diversa sorte toccava a quello diretto ad ottenere
l’annullamento della seconda delibera, nella quale venivano ravvisati dei
profili di eccesso di potere. E così, siccome nel frattempo il C.S.M. non aveva
provveduto ad adottare una nuova delibera, il ricorrente vittorioso (Secondo)
proponeva nuovamente ricorso per ottemperanza al Consiglio di Stato
(trattandosi di dare attuazione ad una pronuncia adottata da tale giudice: cfr.
art. 113 c.p.a.). Nelle more, l’organo di autogoverno emanava una terza
delibera (in data 9.10.2013), che confermava, sulla base di una motivazione in
parte nuova, il conferimento dell’incarico a Primo: il candidato escluso
proponeva allora motivi aggiunti nella stessa sede dell’ottemperanza, per
denunciare l’elusione del giudicato (di cui in quella sede si chiedeva
l’attuazione). Il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso per motivi aggiunti,
ritenendo nulla per elusione del giudicato la delibera adottata in data
9.10.2013, nominando al contempo un commissario ad acta cui demandava l’individuazione del candidato destinato a
ricoprire il conteso incarico direttivo, nel rispetto dei principi direttivi
indicati in motivazione.
La
sentenza del Consiglio di Stato (7 aprile 2014, n. 1625) da ultimo citata è
stata così fatta oggetto di ricorso per Cassazione da parte di Primo nonché da
parte del C.S.M.: la principale censura articolata innanzi alla Corte
regolatrice delle giurisdizioni (ricordiamo che le sentenze del Consiglio di
Stato – come quelle di altri giudici speciali - sono impugnabili esclusivamente
per motivi attinenti alla giurisdizione, non anche per errores in procedendo ed errores
in iudicando, come avviene per le
sentenze rese dai Giudici ordinari) ha riguardato l’eccesso di potere
giurisdizionale in cui sarebbe incorso il Giudice amministrativo, con la
precisazione che: i) secondo Primo il vizio della sentenza impugnata
(qualificato in termini di eccesso di potere giurisdizionale) sarebbe stato
quello di aver considerato, in sede di ottemperanza, i motivi aggiunti con i
quali il candidato escluso aveva impugnato la nuova (ed ultima) delibera; ii)
secondo il C.S.M. il vizio (identicamente qualificato) della sentenza impugnata
si sarebbe annidato, piuttosto, nell’avere la stessa dettato delle modalità
attuative concrete per l’esecuzione del giudicato di annullamento, travalicando
i limiti propri della giurisdizione (anche di ottemperanza). In ogni caso,
nella sentenza impugnata veniva fatto riferimento alla circostanza che Secondo
era prossimo al pensionamento, per dedurne che continuava a sussistere un
interesse di questo all’accoglimento del ricorso per ottemperanza; benvero, il
Consiglio di Stato, nella sentenza oggetto di ricorso per Cassazione, sembra
ritenere che, comunque, neppure l’avvenuto collocamento in quiescenza avrebbe
determinato il venir meno di siffatto interesse, in quanto il decorso del tempo
non può andare a discapito della parte che ha ragione e, in ogni caso,
l’accertamento della “spettanza” dell’incarico potrebbe rilevare, anche quando
l’interessato non possa più ricoprirlo per essere stato nel frattempo collocato
in quiescenza, ai fini risarcitori. Questo aspetto è importante per cogliere le
(eventuali) differenze tra la pronuncia in esame e quella che, qualche anno fa,
aveva affermato un principio di diritto apparentemente difforme: in realtà,
come spiegheremo, tra i due arresti sembra piuttosto correre una linea di
continuità e la differenza dei principi dettati va rinvenuta nella diversità
delle vicende di fatto venute in rilievo nell’uno e nell’altro caso.
Tornando
al caso che ci interessa, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato,
respingendo i ricorsi proposti da Primo e dal C.S.M., i seguenti principi di
diritto:
a)
“non è ravvisabile un eccesso di potere giurisdizionale - non
venendo in questione i limiti esterni della giurisdizione ma solo il modo in
cui questa è stata in concreto esercitata - nel fatto che il giudice
amministrativo, nell'ambito di un giudizio di ottemperanza originariamente
instaurato per denunciare la mancata esecuzione di una sentenza di annullamento
della deliberazione di conferimento di un incarico giudiziario direttivo da
parte del Consiglio superiore della Magistratura, abbia accolto un ricorso per
motivi aggiunti proposto dall'interessato per far accertare che una nuova
deliberazione, successivamente adottata dallo stesso Consiglio superiore della
Magistratura, è elusiva dell'anzidetto giudicato;
b)
neppure sono ravvisabili eccessi di potere giurisdizionale -
vertendosi sempre solo sul modo in cui la giurisdizione è stata in concreto
esercitata - nel fatto che, nel suindicato giudizio di ottemperanza, il giudice
amministrativo non abbia individuato elementi significativi di novità nella
rinnovata deliberazione del Consiglio superiore della Magistratura,
riscontrando perciò in essa gli estremi dell'elusione del giudicato di
annullamento della deliberazione precedente, e che abbia esercitato i
conseguenti poteri sostitutivi, mediante designazione di un commissario ad
acta”.
Per
giungere alla indicate conclusioni, le Sezioni Unite hanno svolto un
ragionamento che può essere così schematizzato:
a)
la
speciale giurisdizione di ottemperanza si caratterizza per la spettanza, in capo
al Giudice che la esercita, di poteri di merito, normalmente non rientranti nel
perimetro dei poteri cognitori e decisori del g.a.;
per
questo motivo
b)
un
eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo per invasione
della sfera di attività riservata alla pubblica amministrazione (in ipotesi
configurabile nelle ipotesi di giurisdizione generale di legittimità) non
potrebbe essere ravvisato laddove il Giudice dell’ottemperanza, rilevata la
violazione o elusione del giudicato, abbia adottato o ordinato di adottare quei
provvedimenti che l’amministrazione avrebbe dovuto adottare in caso di
spontanea esecuzione del giudicato di annullamento;
c)
non
sono di ostacolo alla suddetta conclusione (non travalicamento dei limiti della
speciale giurisdizione di merito):
c1) la circostanza che
il C.S.M. sia un organo a rilevanza costituzionale (Corte Cost., 15 settembre
1995, n. 435);
c2) le speciali
disposizioni dettata dall’art. 2, comma 4, del d.l. n. 90 del 2014 (conv. in l.
n. 114 del 2014) che hanno previsto dei limiti ai poteri del g.a. laddove
vengano in rilievo delibere del C.S.M., sia in fase di cognizione (le delibere
del C.S.M. possono essere impugnate solo per “violazione di legge ed eccesso di
potere manifesto”) che in fase di esecuzione (non si applicano le norme dettate
dalle lett. a) e c) dell’art. 114, comma 2, c.p.a., il che significa che il
Giudice dell’ottemperanza non può, in questo specifico caso, dettare le
modalità attuative dell’esecuzione del giudicato rimasto inattuato): tali limiti
operano infatti con riferimento alle delibere adottate dopo l’entrata in vigore
del decreto legge citato, onde non sono conferenti nel caso di specie;
d)
fermo
restando quanto sopra (il Giudice dell’ottemperanza che si sostituisce
all’amministrazione neghittosa non incorre in eccesso di potere
giurisdizionale, posto che, al contrario, la sostituzione della p.a.
inadempiente costituisce la cifra della giurisdizione di merito in questione),
anche con riferimento alla giurisdizione di merito è configurabile la violazione
dei “limiti esterni”, laddove “venga addebitato al Consiglio di Stato di avere
ecceduto il limite entro il quale quel potere gli compete (...), di avere cioè
esercitato una giurisdizione di merito in presenza di situazioni che avrebbero
potuto dare adito solo alla normale giurisdizione di legittimità e quindi
all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi o che comunque non
avrebbero potuto trovare ingresso nell’anzidetta giurisdizione di merito”
(Cass. S.U., 9 novembre 2011, n. 23302);
e)
con
segnato riferimento all’annullamento di una delibera di conferimento di
incarichi direttivi (o semi-direttivi) ed alla successiva ottemperanza, esula
dai limiti dei (pur ampi) poteri cognitori del g.a. in sede di giurisdizione di
merito l’ordine di svolgere una procedura competitiva “virtuale” a fronte della
circostanza che uno dei due candidati (o anche entrambi) non sia più in
servizio: il potere del g.a. di ordinare al C.S.M. le linee da seguire
nell’individuazione del candidato idoneo (beninteso, per vicende anteriori
all’entrata in vigore del d.l. n. 90 del 2014) è concepibile in quanto e fino a
quando “l’incarico sia ancora conferibile e la procedura sia ancora espletabile
(...), venuta meno tale condizione, cessa per ciò stesso non solo l’obbligo ma anche
la possibilità stessa per l’amministrazione di provvedere in tal senso, fermo
l’eventuale diritto al risarcimento per chi abbia visto indebitamente frustrate
le proprie legittime aspirazioni” (cfr. ancora Cass. S.U., 9 novembre 2011, n.
23302);
f)
in
definitiva l’avere nominato un commissario ad
acta per rivalutare le posizioni di Primo e Secondo, pur nella
consapevolezza della prossimità di quest’ultimo al raggiungimento dell’età
pensionabile, per quanto “opinabile” (così espressamente la pronuncia delle Sezioni
Unite in rassegna), rappresenta un’opzione corretta sotto il profilo del
rispetto dei limiti della giurisdizione: “la prossimità del dott. [Secondo]
all’età di pensione, in altri termini, avrebbe eventualmente potuto indurre il
Consiglio di Stato ad esercitare in diverso modo i poteri che competono al
giudice dell’ottemperanza nel sostituirsi all’amministrazione inadempiente (o
male adempiente) [...] ma l’eventuale cattivo esercizio spettante ad un giudice,
come già più volte ricordato, non è riconducibile alla nozione di eccesso di
potere giurisdizionale, definito quale violazione dei limiti esterni della
giurisdizione, che postula invece l’esercizio di un potere di cui il giudice
non disponga affatto”;
g)
ed
infatti la procedura competitiva di che trattasi era ancora espletabile,
sebbene, visto l’approssimarsi di Secondo alla pensione, sostanzialmente
inutile e quindi “opinabile”, ma non certo definibile in termini di eccesso di
potere giurisdizionale.
Se
quindi, a prima vista, la sentenza qui in esame, sembra porsi in linea di
discontinuità con la precedente pronuncia n. 23302 del 2011 (vergata, peraltro,
dalla penna dello stesso estensore) – perché in quel caso si affermò con
riferimento ad una vicenda per molti versi simile la sussistenza dell’eccesso di
potere giurisdizionale ed in questo, invece, si è detto il contrario -, ad un
esame più attento i principi alla base delle due pronunce sono esattamente gli
stessi: per aversi potere sostitutivo (e non ritenerlo esercitato “in eccesso”)
occorre che la p.a. stessa sia ancora investita di potere con riferimento a
quella vicenda, tenuto conto della concreta possibilità di esperire nuovamente
la procedura comparativa, possibilità che sarebbe invece preclusa laddove
l’incarico non sia più conferibile, ad esempio, perché uno dei candidati è
stato posto in pensione.
È
piuttosto la diversità dei casi concreti, esaminati nell’una e nell’altra
pronuncia, ad avere implicato che, muovendo dai medesimi principi, si sia
giunti all’affermazione di conclusioni opposte: nel nostro caso, anche se
“opinabile”, la ripetizione della procedura comparativa era ancora possibile;
in quello deciso nel 2011, invece, no: circostanza, questa, preclusiva
all’esercizio del potere sostitutivo del g.a. ed alla sanzione dell’eccesso di
potere giurisdizionale in caso di relativo esercizio.
Ed
infatti: “la possibilità di dar corso ad un procedimento concorsuale ‘ora per
allora’, al solo ipotetico fine del riconoscimento di un determinato
trattamento di quiescenza del candidato che risulti vincitore, sposta
radicalmente l’asse tanto dell’azione amministrativa quanto della tutela
giurisdizionale ad essa relativa, perché un procedimento siffatto non potrebbe
evidentemente in alcun modo condurre all’effettivo conferimento dell’incarico
di cui in precedenza si era discusso e che aveva costituito la ragione prima
dell’atto annullato” (così ancora Cass. S.U., 9 novembre 2011, n. 23302).
Chiarita
la comunanza delle opzioni ideologiche di partenza delle pronunce del 2011 e
del 2015 (pur nella diversità degli esiti decisori, in ragione della diversità
delle vicende decise: lo ripetiamo, in un caso la procedura non era più
espletabile, se non in termini “virtuali” nell’altro lo era, pur dandosi luogo
ad una soluzione “opinabile”), possiamo qui ripetere le critiche che sono state
formulate con riferimento al modo di intendere l’eccesso di potere
giurisdizionale del Giudice dell’ottemperanza fatto proprio dalla Corte di
Cassazione a Sezioni Unite (vedi Mari,
Osservazioni alla sentenza della
Cassazione, Sezioni Unite, 9 novembre 2011, n. 23302: sindacato della Suprema
Corte sulle sentenze del Giudice amministrativo rese in sede di ottemperanza e
rilevanza di sopravvenienze fattuali successive al giudicato a giustificare un
sostanziale vuoto di tutela, in Dir.
Proc. Amm., 2012, 136 e ss.).
Il
quale (modo di intendere) pare non tenere nel debito conto l’evoluzione del
giudizio amministrativo (anche e forse soprattutto di quello di ottemperanza)
da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto, diretto all’effettiva
attribuzione a chi spetta del bene della vita, ovvero di un suo succedaneo
economico laddove l’attribuzione “in natura” non sia più possibile (come nel
caso di non ripetibilità della procedura).
Si
nota(va) – ma la considerazione conserva attualità - inoltre che l’esclusione
della rilevanza (e della stessa possibilità) di una valutazione di spettanza
effettuata dal commissario ai soli fini risarcitori (cioè in caso di bene della
vita non più attribuibile “in natura”) non tenesse adeguatamente conto dell’introduzione,
nell’ambito della disciplina codicistica dell’azione di ottemperanza (pur con
le modifiche introdotte dal primo correttivo al Codice), dell’azione
risarcitoria per mancata esecuzione del giudicato ovvero per la sua violazione
o elusione (Mari, op. cit.).
Come
è stato esattamente notato, dal tenore complessivo di tale disciplina si evince
che “il Codice del processo amministrativo non considera l’ipotesi che una
sentenza di accoglimento del ricorso – che, pertanto, afferma l’intervenuta lesione
della posizione giuridica sostanziale (...) – possa non trovare ‘sbocco’ in forme
di riparazione, le quali possono essere sia di tipo ‘ripristinatorio’ (...) sia
di tipo ‘risarcitorio’ o ‘per equivalente’, laddove vi sia l’impossibilità di
esecuzione del giudicato. Ne consegue che quale che sia la ragione
dell’impossibilità di esecuzione (sia essa oggettiva, o sia essa riconducibile
ad un’attività o comportamento inerte dell’Amministrazione), oggetto del
risarcimento per equivalente monetario è la lesione stessa della posizione
sostanziale accertata dal giudice del cognitorio e coperta dal passaggio in
giudicato della relativa decisione. Non a caso il comma 3 dell’art. 112
evidenzia un danno ‘connesso’ all’impossibilità dell’esecuzione e non già
‘conseguente’ a tale impossibilità” (Ferrari
Gi., Il nuovo Codice del processo
amministrativo, IV ed., Roma-Molfetta, 2014, sub art. 112).
Ora,
alla luce dei principi di effettività e concentrazione della tutela sarebbe del
tutto irragionevole escludere che, nella sede dell’ottemperanza, possa trovare
spazio, seppure in via residuale (cioè subordinatamente all’impossibilità
oggettiva dell’esecuzione, per “irripetibilità” della procedura comparativa),
una valutazione, se del caso compiuta dal commissario, in termini di
“spettanza”, ancorché “virtuale”, del bene della vita, ai fini di una
statuizione risarcitoria da adottare, se richiesta, nella stessa sede
esecutiva, o al limite in una sede diversa, nella quale, tuttavia, il sindacato
in termini di spettanza (e dunque di ingiustizia della lesione) sarà già stato
effettuato (con i poteri “forti” propri della giurisdizione di merito) e si
tratterà soltanto di quantificare il danno.
* Il presente contributo rappresenta una
anticipazione delle riflessioni svolte nel Focus sul processo amministrativo del
numero cartaceo Aprile 2015 della Rivista Nel Diritto, di imminente
pubblicazione.